Ferber Potiron et citron caramélisé, a photo by fratella on Flickr.
Cucinare che passione
Ferber Potiron et citron caramélisé, a photo by fratella on Flickr.
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col sambuco raccolto e certosinamente sgranato.
Desidero ringraziare l’amica Valentina che mi ha richiamato alla prudenza nel consigliare fiori, bacche o altri componenti che si possono raccogliere in giro da piante selvatiche e quindi vi invito a scaricare e a leggere attentamente questo documento di un centro antiveleni, per non incorrere in errore raccogliendo bacche di piante sconosciute, e questo, che mostra e descrive molto chiaramente le caratteristiche del sambucus nigra rispetto a quelle di un altro sambucus, l’ebulus, da evitare..
Ne era rimasto solo,un po’, orfano di vasetto troppo scarso da esser chiuso a caldo e messo via: qualche cucchiaiata, che aveva trovato asilo provvisorio in un vasetto di omogeneizzati.
Così ho potuto assaggiarlo e trovarlo molto buono già così, ancora da stagionare.
Tanto da ripeterlo, raccogliendo le ultime bacche del grande arbusto, cresciuto tra i massi di sostegno di giardini e case, qui in valle, rialzati dal prato dove pascolano lungo l’autunno le vacche al ritorno dall’alpeggio, se la neve non la fa troppo da padrona.
L’autunno, appunto, stringe i giorni nostri, ormai; le foto dai colori rosseggianti non scattate ieri non le ritrovi oggi, e così bacche e sementi, che sono seguiti ai fiori di rugosa, rosa vinosa e profumata, e canina e glauca e di selvaggio sambuco.
E gli ultimi boccioli.
Commoventi nel loro insistere ai primi geli.
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Così oltrepassiamo il basso steccato, il Papo ed io – con un cestello a rete fitta sottobraccio e cesoie in mano, io, lui trotterellante festoso – ci avviamo per il prato a raccogliere quel che gli uccelletti paiono snobbare.
Ci avviamo è parola grossa, visto che il canetto molto inclina a deviare verso le tracce lasciate da un trattore spandi-concime. Ovvero il trattore col serbatoio di urina delle vacche (il piseròth de le vàche – come precisa mio marito, che tiene a marcare i suoi natali nella sinistra Piave contadina). Perché il malnato canetto, come molti simili suoi, molto è attratto da questi sentori agresti, e come sente lo sferragliante trattore, presto si getta oltre la recinzione, in corse matte, a grufolare e strofinarsi, pure, di schiena, panza, collo, muso, in quel che non sto a nominare, e a guardarmi beffardo in improvvise soste mentre nello scenario di silenti pascoli alpini strillo e mi affanno a (non) farmi obbedire.
Poi torna, gaglioffo, con quel suo sguardo parachiulo e gli fo il pistolotto: “Bruttocanecattivo!”, così gli dico contro, che non gli sfioro con questi accenti non dico le orecchiette portate indietro alla finto pentito ma manco quei buffi baffetti che gli son spuntati da un mese, dal compiere dell’anno o quasi.
Riempito il cestello, con grande attenzione per non sgranare lì sul prato il succoso bottino, ce ne torniamo a casa mentre si fa così presto sera.
Embé, e la ricetta?
Serve ormai solo per l’anno prossimo, se i sambuchi ce la faranno a maturare. E va tenuto ben presente che se malmature queste bacche sono tossiche, per dispetto di natura, e van quindi colte al momento giusto.
Di ricette ne ho seguite tre, due di Christine Ferber, entrambe dal Larousse des Confitures, e una di un notevole libro, molto molto interessante, Jams, preserves, edible gifts.
Ecco la prima:
1 kg. di bacche di sambuco
1 grossa cipolla
10 gr. di zenzero fresco
1 piccolo peperoncino rosso
200 gr. di zucchero semolato
1 chiodo di garofano
1 pizzico di pimento (allspice)
1 cucchiaio da caffè di mostarda in grani
1 pizzico di cannella in polvere
50 cl. di aceto di mele (occhio, eh, deve essere buonerrimo, non lesinate)
vi consiglio di sciacquare il raccolto in un bel capiente colino di rete, in modo da non perdere le bacche vaganti, che tendono a staccarsi dalla ridente famigliola e a disperdersi nell’universo mondo.
Risciacquate per bene, lasciate scolare e mettetevi di buzzo buono, accendete la radio, sentitevi un podcast intitolato, che so’, alle guerre Atene-Sparta o alla lotta contro i Persiani (che è la volta buona che vi fate ‘na cultura), agguantate una forchetta e pettinate le ex infiorescenze raccogliendo le bacche e stando all’occhio, come prima, a non farle rimbalzare come pois dispettosi dappertutto.
Se coi Persiani i Greci finissero prima di voi col sambuco, mettete su le Guerre Puniche e dovreste essere a posto per tutta la conserva.
Fatto questo, pesate il frutto del vostro duro lavoro e vedete mo’ se avete raggiunto il kg. (inteso di sambuco sgranato, non del vostro dimagrimento durante l’operazione).
Siccome il kg. l’avrete sicuramente preso addosso voi mangiucchiando qualcosa tra una pettinata e l’altra del sambuco, sfogatevi sulla cipolla e massacratela sul tagliere riducendola in pezzetti minuti.
Commemorando in lacrime il vostro cipollesco misfatto non dimenticate di pelare lo zenzero, pesarlo e ridurlo come la cipolla.
Il peperoncino, che taglierete a pezzetti dopo averlo mondato, ed a cui toglierete i semi, sarà il vendicatore di cipolla e zenzero se non vi ricorderete di evitare di toccarvi gli occhi dopo averlo sezionato.
Ora mettete le bacche di sambuco nella vostra bella casseruola a fondo pesante (mi raccomando, sempre nelle vostre pentole, eh, come sempre precisano gli sceffi in TV: MAI in quella della vicina, sempre nelle vostre pentole; E belle, naturalmente.). Comprimetele leggermente con la schiumarola, aggiungete la cipolla, lo zucchero, lo zenzero, il peperoncino e le altre spezie e scaldate molto dolcemente per far fondere lo zucchero.
Fusi che siate, voi cartaginesi e possibilmente lo zucchero, versate l’aceto, portate a ebollizione e lasciate cuocere 50 minuti a fuoco dolce, mescolando fino a quando il composto non si inspessisca per bene.
Nel frattempo preparate gli sterilizzandi vasi nel forno, impostato a un po’ più di 100 gradi che-no-se-sa- mai, e mettete, in ultima, i coperchi a bollire.
All’ultima guerra punica penso che la vostra negra blobbazza potrebbe essere evaporata nella giusta misura, così potreste tranquillamente ustionarvi coi vasi bollenti travasando il vostro chutney selvaggio nei detti recipienti, badando a riempirli senza bolle d’aria e a chiuderli con i coperchi tratti dall’acqua bollente e fatti un momento scolare su un (appunto) colino.
cadona, guarda che ti vediamo: non fare la zuccona e sgancia la ricetta, a photo by fratella on Flickr.
Pumkin Preserve da Sensational Preserves di Hilaire Walden
La conserva novembrina per eccellenza!
Io ho usato una zucca Delica, che trovo ottima per la sua polpa burrosa e per la consistenza che dona alle confetture.
Primo giorno: ‘a zucca mo’ ti sistemo io!
Ho tagliato a fette (anzi me la sono fatta tagliare a fette da mio marito per evitare di rischiare un kara-hiri col coltellazzo da cucina) la detta stimata zucca, naturalmente privata dell’interno e dei semi, che ho tenuti e certosinamente nettati. Messi poi in forno – urlo disarticolato al detto coniuge, che stava per gettarli nella pattumiera – quando ho sterilizzato i vasetti vuoti e deliziosamente quasi tostati.
Buccia tolta con uno splendido attrezzo che spela pure i pomodori e fatta la polpa a dadini, o pezzetti.
(Richiesta da Stefania, ecco l’attrezzo mio: rotex-pela-sbuccia-pomodori-patate-lama-oscillante.)
Passaggio a bilancia e annotato il peso, ché di ugual quantitativo di zucchero si abbisogna, messa a bollire l’acqua per la precottura al vapore.
L’acqua bolle e inserisco sopra quella casseruola il contenitore forato per la cottura a vapore, con dentro la zucca a pezzetti. Timer su 20 minuti.
Nel frattempo mi occupo della proporzione dello zenzero fresco: Su 450 gr. di polpa nettata 25 gr. di zenzero, cioè passo a passo ché qua vedo che le proporzioni sono diventate, dopo le medie, un mistero per molti, se su 450 gr. di polpa ci vogliono 25 gr. di zenzero ciò significa per per un grammo di polpa ce ne vogliono 25/450, quindi se voi ne avete, di polpa, x grammi, per determinare il peso di zenzero dovrete fare questo impervio calcolo: x * 25/450. (vi lascio operare le semplificazioni)
Succo di limone: su 450 gr. di polpa di zucca serve il succo di mezzo limone. Vedete voi quanto metterne.
Spello lo zenzero, peso il netto e alé! la grattugia Microplane bellissima che ho non lo grattugia tanto bene e così lo affetto sottile, e poi lo riduco a pezzetti minimissimi col coltellazzo da cucina, mentre lo zucchero pesato sta nel forno (non sparpagliato, eh ;-DDD) a far wellness a 50 gradi.
Il timer suona e io non ho che da riunire zucca, succo di limone, zenzero e zucchero in un contenitore non metallico, che andrà coperto e messo religiosamente al fresco per 24 ore.
Secondo giorno: la delizia traslucida
Trasferisco quanto macerato 24 ore prima nella casseruola in cui fo le marmellate ecc… (fondo spesso) e pian piano riscaldo vegliando come antica nutrice sulla soluzione dello zucchero. Nel frattempo metto i vasetti a sterilizzarsi nel forno (ricordarsi dei semi da tostare) e i coperchi a bollire.
Quando sia dissolto il detto zucchero nella dissoluta conserva. alzo la fiamma e porto a bollore (boil hard for 15 minutes), bollire fieramente per 15 minuti fino a quando la delizia in corso non sia spessa e traslucida (si mantengono certi pezzetti goduriosissimi).
Nel frattempo star di guardia e MESCOLARE, EH, e non sedersi giusto un attimo a vedere che c’è di bello su FB ché vi si caramella tutto e non venite poi a raccontare che l’avete caramellizzata apposta, ché noi ci abbiamo i capelli bianchi e siamo vecchie volpone.
Invasare a caldo.
Qualche tempo dopo fotografare in controluce e mettere su Flickr e/o FB per far ciccare tutti :-DDD))))
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Non solo biscotti...
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Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.” Due frasi, due concetti che definiscono la mia filosofia di cucina. Il tutto condito poi con passione, allegria, costanza, tenacia e grinta e amore
Cooking. Cake. Design.
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