Ecco qua la bellissima realizzazione (lei sì che ha avuto occhio per misurare le parti d’impasto per tre corone (quella esterna e quella interna a due capi e la centrale a treccia, a tre capi) e per i bellissimi motivi a spirale che quasi nascondono la treccia centrale!
E’ sulla ricetta che ho postato qui (con video molto chiaro).
Qualche piccola variante negli ingredienti da lei introdotta con successo, che vi riporto:
Realizzazione e foto di Rossella Calì
Ingredienti: 500 gr. di farina (usato la 330 farina rossetto) 16g. di ldb (utilizzati 10) 150 gr. di burro demi-sel 6 gr. di sale 40 gr. di zucchero di canna (utilizzato zucchero muscovado) 2 uova intere 80 ml di acqua 100 ml di latte parzialmente scremato (utilizzato intero) doratura: 1 tuorlo 1 cucchiaio di panna liquida 1/2 cucchiaino da caffè di estratto di vaniglia.
Questo è un impasto molto diffuso nelle Antille Francesi, a quanto pare.
Io l’ho realizzato con una tecnica di impasto lievemente diversa, credo perfezionandone l’esecuzione, rendendola più agevole senza cambiarne la sostanza.
Per fare le rose ho utilizzato la tecnica (senza ripieno) descritta qui.
La ricetta la trovate, in francese, qui e c’è un video illustrativo, da cui rileverete le mie pretese migliorie ;-))) di tecnica e la bravura dell’autrice nel comporre la ghirlanda finale, diversa dalla mia per mia imperizia nel calcolare i quantitativi di impasto necessari per le varie componenti.
Ecco qui una diversa versione (che nella forma corrisponde alla ricetta originale) eseguita dall’amica Rossella Calì
Suspence e inseguimenti alla ricerca dei croissant appena sfornati.
Roger O. Thornhill cammina in pieno giorno su una strada isolata in Alta Pusteria, e viene attaccato da un misterioso aereo adibito all’irrorazione dei campi, che lo insegue verso una casa tra i pascoli, che attrae con forza magnetica il circondario.
Sequenza entrata nella storia del cinema e di cui qui si svela l’arcano, non presente nella sceneggiatura definitiva.
I croissant irreristibili appena sfornati, o quasi, fatti da un’insospettabile massaia che reca ancora in mano un libro dal titolo Le Larousse du pain.
Sì, pure questi ho provato, e devo dire che la prima volta non avevo ben capito le dimensioni da impartire alla sfoglia, e ancora non le capisco, così come scritte nella ricetta. Che ho ricalcolato, tuttavia, e nel secondo giro ho seguito la mia versione, ottenendo dei croissant della misura, e spessore di pasta, voluti.
500 gr. di farina T65 (usato Rieper etichetta blu)
220 gr,. acqua a 10* C (è fredda fredda eh, misurate la temperatura)
1 uovo per pennellarli (ma se l’ha già inserito prima, penso sia un errore).
Nella ciotola dell’impastatrice riunire la farina, l’acqua, il lievito liquido, il lievito di birra sciolto in un po’ dell’acqua, il sale (lontano dai lieviti), lo zucchero e l’uovo. Mescolare per cinque minuti a velocità lenta, poi altri cinque minuti a velocità maggiore, incorporando in burro ammorbidito negli ultimi tre minuti di questa fase. State molto attenti a non sviluppare il glutine, che vi renderebbe la pasta troppo elastica e reattiva, ribelle alla stesura in sfoglia.
Formate con l’impasto una boule e mettetela in frigo per un’ora, in una terrina coperta da un telo inumidito. (Io metto il tutto in un contenitore o un sacchettone di plastica).
Verso la fine di questo tempo estraete dal frigo il burro e, steso tra due fogli di carta forno, ammorbiditelo appiattendolo – facendo in modo che non si scaldi, e bene sarebbe che queste lavorazioni si espletassero in un ambiente il più possibile fresco – con dei colpetti di mattarello, facendo assumere al panetto una forma rettangolare e già tenendo presente che le dimensioni finali del burro, sulla pasta spianata, dovranno essere – qui ho calcolato io – quelle di un quadrato di cm. 28 x28, circa.
Io ho usato il burro della Latteria di Vipiteno la prima volta e quello della Mila la seconda, entrambi ottimi burri dell’Alto Adige prodotti per centrifugazione della panna, e mi sono trovata ottimamente. Ho sempre spianato il burro in quadrato, prima battendolo col mattarello, poi usando il mattarello nel modo consueto per dare uniformità allo strato, e sempre con occhio al righello per le misure.
Infarinare il piano di lavoro e stendere l’impasto refrigerato. Formate un rettangolo di 30 x 60 cm. dello spessore di 3 mm. con uno dei lati più corti prossimo a voi e quello lungo svolto davanti a voi. Sono utili, in questo caso, delle barrette di quello spessore, se avete un mattarello opportunamente lungo o, come ho pensato io (ma devo ancora sperimentarli) comprando degli anelli di quello spessore, in materiale relativamente elastico, del diametro interno pari a quello dal mattarello, su cui vanno montati semplicemente infilandovelo, ai lati estremi. Sperimenterò e mostrerò il mattarello con gli anelli, se funzionerà.
Verificate, spostandola leggermente e sollevandola dal piano, la dimensione attuale della sfoglia, ché l’elasticità di quel poco di glutine, pur sviluppato, fa ritrarre la pasta. In tal caso, lasciate un poco riposare la pasta, coprendo con un telo appena inumidito (ma poco poco, magari basta un telo asciutto spruzzato leggermente dall’esterno), e riprendete dopo il relax.
Stesa così la pasta, troverete molto comodo aver formato il quadrato di burro tra i due fogli di carta forno, controllerete se le dimensioni siano giuste (in trasparenza lo si vede bene) e se tutto è OK rimuovetene uno, girate il tutto verso la pasta, ricoprendone la metà superiore (lasciando quel po’ di spazio ai lati, di esubero della pasta rispetto al pannello di burro) e coprite con l’altra metà, a libro.
Fate ruotare di 90 gradi la pasta in modo di avere gli estremi sovrapposti sul lato destro. Avrete una specie di libro chiuso davanti a voi, di 30 x 30 cm circa, dal basso avrete la copertina inferiore, di pasta, un foglio di burro, la copertina superiore, ancora di pasta.
Numero, di seguito i passaggi di piegatura, per comodità.
1) prima piegatura a tre
Stendere la pasta davanti a voi, di modo da formare un rettangolo con un lato allungato di un terzo rispetto a sé stesso (uno dei lati di 30 diventa così di 30 + 30*1/3 = 40 cm)
Ripiegate in terzi secondo il lato più lungo, come una lettera commerciale, avendo cura di spazzolare le superfici dell’impasto così stratificato, di modo da liberarli dall’eventuale farina, indesiderata, tra le pieghe.
Si prende un terzo di sfoglia partendo dal lato più prossimo a noi e la si piega sul secondo terzo (centrale) della sfoglia, si prende l’altro lembo di pasta, quello superiore e più lontano a noi, e lo si piega sui due strati appena sovrapposti. Si ottiene occhio e croce un rettangolo di larghezza pari a 30 cm (è rimasta invariata, più o meno) e di lunghezza, da 40 cm, ridotta a poco più di 10 cm.
Imprimete leggermente con il mattarello, o con un altro strumento, un segno in un angolo (promemoria per il primo giro) e mettete in frigo per un’ora.
2) seconda piegatura a tre
Infarinate il piano di lavoro, disponete la sfoglia con i lembi estremi di sovrapposizione alla vostra destra e stendetela aumentandone la lunghezza di un terzo, fino a 40 cm., e a 3 mm. di spessore.
Se per caso sentiste che il burro è molto freddo e non si lascia stendere all’interno della pasta, battete molto ma molto ma molto delicatamente qualche colpetto di mattarello, con molta attenziaone (molta ma molta). Il burro deve rimanere freddo, mi raccomando, ma lasciarsi stendere. Se per caso il burro desse segni opposti, per troppo calore ambiente, non esitate a refrigerare alla velocissima, così com’è, e a riprendere il lavoro dopo un po’.
Ripetete la sequenza di pieghe a tre. Avvolgete per bene in pellicola, marcate un doppio segno e mettete in frigo un’ora.
3)Terza, ed ultima, piegatura a tre
Ripetete la fase precedente, marcando con un triplo segno l’impasto e rimettete in frigo un’altra ora.
Fase di stesura della sfoglia finale, taglio e preparazione dei croissant.
Infarinate il piano di lavoro e stendete la sfoglia allo spessore di 2-3 mm. con molta prudenza. Io qui mi arrendo e non capisco la ricetta, che prescrive di ottenere una forma il più possibile rettangolare (e ok, ci siamo) ma “due volte più lunga che larga, ovvero da 24 -25 cm di larghezza per e da 80 a 100 cm. di lunghezza”. Se avete il libro e capite cosa intende datemi una mano, vi prego. Io, alla luce di quel che leggo nel prosieguo della ricetta, ho steso la pasta nelle dimensioni di un rettangolo di 60 x 30. Infatti poco dopo dice di piegare la sfoglia in due nel senso della lunghezza, si tratta di impartire una piega leggera al solo scopo di ottenere un segno da seguire per tagliare in due la sfoglia, sovrapponendone gli strati per poi tagliarli e ottenere due croissant alla volta con un taglio solo.
Quanto ai croissant fa un pochetto imbestialire perché invece di dirne base e altezza dice la base e un lato, costringendo la tapina qui scrivente a ricalcolarsi, col teorema di Pitagora, l’altezza del detto triangolo.
Dice infatti che i triangoli devono avere una base di 10 e i lati di 16-18 cm (l’altezza di triangoli siffatti è pari a 15 cm ed è per questo che ho deciso che l’ultima sfoglia avrebbe avuto un lato di 30 cm, appunto il doppio dell’altezza dei croissant).
Per tagliarli fate come volete, io li ho tagliati sia dividendo la sfoglia (di 60 x 30) in due sfoglie di 60 x 15, sovrapponendole (la prima volta) sia tagliandoli dalla sfoglia grande (la seconda), mettendo le tacche di 10 in 10 cm sull’impasto per la misura.
Ricordatevi sempre che se l’ambiente è caldo il burro si comporta male, refrigerate previdenti, se occorre, soprattutto nella fase successiva il freddo ricopre un ruolo essenziale.
A questo punto formate i croissant, prima stendendoli ancora col mattarello, e mano leggera, dalla base alla punta. Io dilato un poco la base prima di avvolgerla, ma non so se così vada bene, qualcuno incide a metà, con un brevissimo taglio, la base. Avvolgete i croissant facendoli rotolare su se stessi sotto la vostra mano, utilizzandola a tutta lunghezza. Curate che la puntina finale stia sotto il croissant, per non liberarsi in fase di lievitazione o cottura. Curvate verso l’interno le punte laterali conferendo la forma di lunetta ai croissant.
Disporre i croissant su griglie ricoperte di carta forno e lasciate che lievitino un paio d’ore a temperatura ambiente, magari nel forno non acceso, tirandoli fuori al momento del preriscaldamento s’intende.
Portate il forno a 170° C mettendo una leccarda sul fondo. Dorare i croissant pennellandoli con l’uovo sbattuto (a proposito non mi è chiaro perché tra gli ingredienti mi piazzi due volte un uovo per la doratura) Sempre a proposito di lucidarli con l’uovo altri autori pennellano due volte, la prima appena dopo l’avvolgimento, la seconda prima di infornare. E con uovo leggermente sbattuto con un po’ di acqua, di solito.
Prima di infornare gettate 5 cl di acqua caldissima sulla leccarda, chiudendo immediatamente il forno, fate cuocere per 15 minuti con gli occhi ben attenti alla doratura, che non si trasformi in carbonizzazione 🙂
Estratti dal forno che siano, farli raffreddare su un’altra griglia.
Un video, infedele al libro, in cui si vede l’ottimo Kayser in opera, utilissimo per vedere molte cosette, compresa la manipolazione dell’impasto a mano (ingredienti diversi, a quel che ho capito) e soprattutto la formazione dei croissant.
Da un blog fatato una ricetta semplice e fiabesca insieme, che ho conosciuto attraverso un link di quelli che parlano al cuore,per merito di Rossella Calì, che ringrazio!
100 g di zucchero (di cui 1 cucchiaio da usare per riattivare il lievito)
3 tuorli d’uovo
estratto di vaniglia 1 cucchiaino
180 ml latte tiepido
20 g di lievito fresco (io ne avevo una quindicina) o 7 g lievito istantaneo attivo (Mastro Fornaio)
un pizzico di sale
100 g di burro fuso
scorza di 1 limone (grattugiata) – e son limoni del mio fornitore di fiducia, Arance da Gustare!
Ripieno:
300 g di Topfen, che è un vero formaggio, noto in Germania come Quark. Io ho usato della ricotta particolarmente pregiata.
100 g di zucchero
1 uovo, leggermente sbattuto (1 cucchiaio per il ripieno e lasciare il resto per lucidare le rose)
75 g di mandorle tritate
scorza di 1 arancia (grattugiata) qui ahimè piango perché le arance di Arance da Gustare sono finite, ma ho optato per una variazione del ripieno, che leggerete nel seguito della ricetta.
1 cucchiaino di acqua di fiori d’arancio (facoltativo)
Decorazione finale:
1 cucchiaio di mandorle a scaglie
Zucchero a velo
Procedimento:
Frantumare il lievito fresco e unirlo, con un cucchiaio di zucchero a un po’ del latte leggermente riscaldato.
Sciogliere il burro e farlo raffreddare.
Sbattere i tuorli con il resto dello zucchero, la vaniglia e il sale.
Mescolare la farina con la scorza grattugiata del limone.
Aggiungere alla farina, il lievito le uova, il resto del latte e mescolare.
Quando la pasta comincia a prender corpo unire il burro fuso e impastare per circa 15 minuti a mano o 7-8 minuti nell’impastatrice.
Lasciare lievitare in un luogo caldo fino al raddoppio di volume (circa 1 ora).
Durante questo tempo preparare il ripieno. In una ciotola mescolare la ricotta, la scorza di arancia grattugiata, le mandorle, tritate, lo zucchero, possibilmente con acqua di fiori d’arancio, e un cucchiaio di quell’uovo sbattuto (riservando il resto per il passo successivo). Io, invece, terminate le fidate arance non trattate, avevo una meravigliosa mia gelée del Malus John Downie – raccolto ottobrino, ancora acerbe le mie melette! – profumata di petali di rosa rugosa ed altre olentissime amiche sue, così ho usato un paio di cucchiai di quella gelée, con i petali di rosa, e di una delittuosa mia conserva di mandarini, sempre i meravigliosi mandarini di Arance da Gustare. E al posto dell’acqua di fiori d’arancio conturbante acqua di rose.
Ecco qui la mia scena criminis:
Dividere l’impasto in 12 parti. Appiattirle leggermente in sfoglie del diametro di 15-16 cm. Cercate di non infarinare, l’impasto tiene, dopo un po’ di bizze iniziali, dovrete tenerlo leggermente umido per far sì che i lembi estremi dei petali si attacchino quanto completerete il fiore. Tagliare quattro raggi trasversalmente senza giungere al centro, un taglia pasta rigido andrà benissimo. Al centro, andrà messo il ripieno, foggiato in palline grandi un po’ più di una noce. Coprire una parte del ripieno ricoprendolo con il primo petalo. Continuare con i restanti petali, mantenendo una direzione unica, come avvolte sono le rose in natura. Alla fine chiudere bene le sporgenze inferiori dei petali, saldandole. Saldate bene – non infarinate quindi il piano quando stendete i dischi di pasta – ho visto che se si infarina anche poco poco, le chiusure non reggono. Devo dire che, però, io ho usato una farina di forza, etichetta blu della Rieper in prevalenza (e pochissima dell’etichetta rossa) più elastica, che richiede, quindi, saldature da acciaierie del Donbass!
Disporre i dolcetti su una teglia da forno, coprire con un panno leggermente umido (meglio se coperti con un panno asciutto e leggermente spruzzato sopra le file, di modo che non sia troppo bagnato) e lasciare lievitare per mezz’ora
Durante questo tempo preriscaldare il forno a 190 ° C. Spennellare i panini con il resto del’uovo mescolato con 1-2 cucchiaini di acqua ed eventualmente cospargere con scaglie di mandorle. Meglio metterle le mandorle in basso, o, meglio, usare dei pistacchi a simboleggiare le foglie. Un po’ di verde lo mantengono e il sapore si accompagna bene al resto. Cuocere per circa 20-25 minuti fino a doratura. Così nella ricetta originale, ma sarà che ho un forno, qui in montagna, di qualità infima, che brucia pure da una parte, a me si sono coloriti un po’ troppo, fin dall’inizio e ho abbassato la temperatura. Li devo ancora assaggiare. E la prossima volta li formerò ancora più alla Mackintosh. 🙂
Raffreddare su gratella e, una volta freddi, cospargere i dolcetti di zucchero a velo.
Da tanto non riprendevo in mano questo libro, Linda Collister The Baking Book! Ma questo pane, molto old-fashioned e semplice, è proprio molto buono, e vi profumerà tutta casa!
110 gr. di frutta secca mista
(uvetta, albicocche ecc.) e canditi tagliati a dadini (io cedro e arance, quelle mie speziate e candite ma mo’ che aspetto i mandarini….)
140 ml. tè forte, caldo, appena fatto, filtrato
170 ml. latte, circa, a temperatura ambiente
15 gr. lievito fresco (io ho usato una bustina di Mastro Fornaio e l’ho mescolato direttamente con la farina)
450 gr. farina da pane (Rieper etichetta gialla)
1 tsp sale
1 tsp spezie macinate (io anice stellato e cardamomo e macis pestati nel mortaio)
30 gr. zucchero semolato
60 gr. burro, freddo e tagliato a dadini
latte per spennellare
Per prima cosa preparare il tè, io avevo dell’English Breakfast e quello ho usato, tagliare a cubetti i canditi, metterli, con la frutta essiccata, in una piccola terrina e coprire col tè appena fatto, lasciando in ammollo per un’ora.
Scolare la frutta eventualmente su una caraffa graduata e metterla da parte, il liquido dovrà essere portato a 280 ml. aggiungendo del latte.
Nel caso si utilizzi il lievito compresso questo andrà sbriciolato e dissolto nel liquido, mescolando per bene e lasciato a riattivarsi.
Riunire in una capiente terrina farina, sale, zucchero, spezie (eventualmente il lievito, se istantaneo attivo). Aggiungere il burro a dadini e lavorarlo con le dita fino a quando non si ottenga un composto di briciole fini. Aggiungere la frutta secca e i canditi e fare un incavo per accogliere il liquido che vi verserete. Mescolate con le mani intridendo la farina progressivamente fino ad ottenere un impasto soffice.
A quel punto lavorate l’impasto sulla spianatoia leggermente infarinata: una decina di minuti dovrebbero essere sufficienti ad ottenere una massa elastica e non più appicicaticcia. La Collister rassicura su eventuali disfacimenti della frutta essiccata, pare che il risultato sia ancora migliore 🙂
Se occorresse, sciaquare la terrina di prima e riporvi l’impasto, a palla, per la lievitazione, sotto un telo inumidito. Un’ora e mezza a temperatura ambiente per la lievitazione in massa, che dovrebbe portare al raddoppio del volume.
Degassare con delicatezza sulla spianatoia leggermente infarinata e decidere se optare per la pagnottona in forma per pane a cassetta (da 900 gr. imburrata) o dividere l’impasto in 8 pezzi uguali, da formare a palla, chiudendo bene i lembi, inferiormente.
Nel primo caso formare il pagnottone per la forma del pane a cassetta ed inserirvelo con il lato della chiusura rivolto verso il basso.
Nel secondo caso foggiare le pallette e porle, ben distanziate, su due teglie da infornare. Coprite.
Mentre le forme lievitano, per quarantacinque minuti, accendere il forno per portarlo a temperatura (200° C)
Pennellare con latte il pane nella forma a cassetta e infornare per 35-40 minuti, fino a quando assumerà un bel color caramello, o quasi. Sformare e lasciare raffreddare su gratella.
I panini a palla si cuoceranno in una ventina di minuti, se mentre sono in forno scioglierete tre cucchiai di zucchero in tre cucchiai di latte e li pennellerete con questa soluzione immediatamente sfornati li luciderete in modo molto caruccio.
PS Moderazione nelle spezie: è un pane appena zuccherato e le spezie tendono a conferire sì un buon profumo ma anche un senso amarotico non piacevole, se in eccesso.
OPPOSTI MA CON GUSTO Blog di racconti enogastronomici a partire da due punti di vista differenti: una buon gustaia in carne, tendente al fritto, in viaggio con una buon gustaia personal trainer, tendente salutista! Qui la tradizione si fonde con le nuove esperienze, le ricette diventano ricordi e la condivisione ha un sapore leggero e simpatico.
Una famiglia alla ricerca dell'equilibrio tra figlie in crescita, esperimenti di panificazione e vita in campagna. A family in search of balance between daughters growing, experiments of bakery and country life.
Non ci accomuna l'etnia. Nè la lingua araba,inglese,cecoslovacca,turca e chi più ne ha più ne metta; nè il modo differente di vestire e le innumerevoli culture.Ma c'è qualcosa che ci unisce più di tutte e che da vita ad un arcobaleno colmo di tradizioni,colori e sapori:la cucina.Che sia semplice o elaborata,in tutte le sue forme non è altro che il frutto del nostro essere.Che sia cinese,francese o italiana è la convivialità,l'amore per la tavola e la gioia di condividerla con i nostri cari a formare un unione vera e propria,che si spera,con il tempo,non scomparirà mai.
Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.” Due frasi, due concetti che definiscono la mia filosofia di cucina. Il tutto condito poi con passione, allegria, costanza, tenacia e grinta e amore