e crocus e rondini esterrefatti, e pure qualcuno che si era infrattato, con l’ostica ghianda, nel mio giardino.
Perché gli impavidi crocus s’erano schiusi al sole primaverile mentre la scrivente conservatrice ammodino, sempre appassionata di vasi laqualunque, si affacendava a rimuovere le protezioni invernali dalle amate veneziane rose, e peonia moutan (d’antan), e a stivar paglia in ampi sacchi, e a ripiegare jute in fasce e in teli, e tessuto non tessuto, e reti, e cannicciati. Il canetto trovava il modo di ottenere lanci perpetui di giochi e croccanti bottiglie in PVC piazzandosi sulla paglia o sulle pacciamature, ramazzando, magari, pure in vicinanza dei bulbi.
Fare ricattatorio, che costringeva la povera conservatrice a continui lanci e incitamenti al riporto. Ché col disgelo e coi tepori diurni le piante vegetano – l’albicocco, serrato contro il muro a Sud, comincia a fiorire, tra api felicemente ronzanti intorno – e non si possono lasciare in quei caldi e bui castelli in cui furono imprigionate a novembre.
Come ogni anno, al disgelo, il giardino ricompare germogliante e ciò che è stato liberato deve essere subito riparato con qualcosa di più leggero, che l’acqua e la luce lasci passare, lasciando fuori, il più possibile, freddo e neve, sempre frequenti in queste primavere a 1.260 metri sul livello del mare.
Eccoli qui, i crocus nella neve, puntuti, stupefatti e chiusi, che il gelo trattiene nonostante il sole ben affermato ed alto nel cielo.
Qui tutti coperti, sotto la coltre bianca, nella fiabesca luce del mattino di Ausserpichl.
è scesa la neve, Giuliana, pietosa, candida, protettiva. I crocus, già sbocciati, si son chiusi. Ma per poco: rifioriranno sempre, nel tuo cuore, al tuo tepore, nel pensiero dell’amica che ora così dolorosamente ti manca.
Un abbraccio, Giuli, dalla tua amica Claudia
Tutto è pronto, così almeno pare, per iniziare la posa dell’impianto di irrigazione e, contestualmente, di quello elettrico.
La giornata (data astrale 25 aprile 2011) si apre luminosa e fresca: boschi silenti attenti, uselèti a capofitto nei canederli.
Foglie, fiori lumeggianti lumeggiati.
Gatti felineggiano guardinghi. Pronti alla fuga.
Natura tutta sospesa in vista dell’epifania di Mechanica Hydra, divinità degli zampilli a timer.
Passiamo in rassegna, compiaciuti, i materiali, schierati per l’appello (“tutto questo sarà tuo, o Giardino!”), mentre mi risuona nelle mente l’Ouverture de Il Flauto Magico (regia di Bergman)
con i piani che si susseguono su:
tubi;
giunti a T,
giunti a L,
nastro di teflon,
irrigatori pop-up,
erogatori di vario tipo e colore,
canale flessibili per impianto elettrico e altre minuterie, metalliche e non.
Nessuna defezione – tripudio dell’Orchestra nel mio film privato -, tutti presenti, cosa rarissima vedrete in seguito perché.
Metri vari qua e là, dispersi o srotolati sul prato, centralina Toro da 8 stazioni comprata a Rio Pusteria, all’altro estremo della valle nei pressi di Bressanone, sotto controllo, manuale e schemi della centralina prontamente da me nascosti.
Nascosti per sicurezza, sia chiaro, agli occhi dell’Impiantista del week end, uomo dotato di un certo fluido che allontana da sé e – ahimè – dagli altri indispensabili cose in modo centrifugo e vario, relegandole in luoghi inaccessibili alla Ragione e ignoti alle fantasie dei più arditi tra navigatori e poeti.
E’ solito, infatti, costui, delocalizzare oggetti in vasta gamma, come tutti i generi di chiavi, da quella dell’auto (il lunedì) a quella delle porte di casa (il sabato e solo porte blindate), telecomandi, ombrelli non suoi – preferibilmente pregiati e miei – biro – matite, gomme, ferramenta di ogni genere, appositamente comprata per essere dispersa, manuali, trapani, conserve della zia Lina, e chiavi del garage con macchina dentro. E set di punte speciali, di brugole e buone cesoie (mie) e cacciaviti, naturalmente, visto che si usa lo spelucchino forgiato in luogo di questi introvati e i pregiati miei acciai, temprati a Solingen, per tagliare sezioni di prato a metro, canale flessibili di plastica e quant’altro scissibile e scindendo. Le cesoie, nate e concepite per recidere di netto e precise rami secchi o freschi delle mie creature verdi, sono invece utilizzate per tagliare robusti ferri e perdere per sempre il filo delle lame, prima di finire abbandonate alla pioggia, neglette in ruggine e oblìo.
Utensili da taglio appropriati per qualsiasi evenienza abbondano nella famiglia delle nostre esauste carte di credito e il citato mi assicura che da qualche parte sussistono, sebbene impercepiti. E’ un diversamente attrezzato, questo filosofo, ma stamattina c’è il miracolo e non manca nulla, nemmeno Papageno,
subitamente apprestatosi alla direzione lavori, già parzialmente iniziati. Qualche tubo è infatti già stato connesso alle derivazioni, legato ad altri compagni e posato sul prato. E marcate le posizioni definitive con qualche segno di badile in vista del successivo scavo delle tracce.
Ecco apparire, qui sotto, al termine della propria derivazione dal tubo principale, il primo irrigatore pop-up, che si solleva con la pressione dell’acquedotto e distribuisce preziosa linfa attraverso gli iniettori Pro-Spray e gli erogatori della stessa ditta, ugelli regolabili da 0 a 360 gradi. Il combinato disposto 😉 dei due articoli, completo dell’altro accessorio , che li contiene, qui montato, è visibile nella foto in basso a sinistra.
Stizzito, il Serpentùn di Gomma se ne sta di sfondo, avvolto in grandi spire, con aria di non cale.
Ma noi si sa che ròsega!
E avrà la sua rinvincita al disgelo, quando l’impianto, paralizzata l’acqua dal freddo della notte nei tubi, farà cilecca se non dove il sole l’avrà di già scaldata e resa fluida. Dunque il Serpentùn sarebbe di nuovo allungato e provvidenzialmente usato da rubinetti Murmansk :-))) cioè liberi dai ghiacci come il famoso porto, lambito dalla Corrente del Golfo, come il nostro lavello dai tubi della della Caldaia Termica. A volte la proisaicità consola.
Inizio della fase di scavo, sotto l’occhio vigile del direttore lavori.
Le zolle del prato vengono rimosse ordinatamente e appoggiate su teli, di modo da riposizionarle in seguito.
Le canale flessibili dell’impianto elettrico, che distribuiranno l’energia in diverse mini torrette in legno, da collocare in diversi punti del giardino per distribuire prese d’acqua e di luce (forza motrice), si apprestano ad essere inserite nelle tracce. In questa zona, in corrispondenza del triangolo, troverà posto una scatola di derivazione elettrica, che, una volta passati i fili, sarà sigillata con uno speciale gel, che ne sommergerà tutto il contenuto, isolandolo perfettamente. Il flusso di corrente è determinato a partire da una interruttore sicurissimo, che governa l’intero impianto esterno, sul muro di casa, al riparo.
Nella foto seguente è illustrata una delle derivazioni, in questo caso solo dell’impianto idrico, approntata per una torretta. Le torrette sono previste in legno trattato con impregnanti in autoclave, che abbiamo comprato, in assi, tra Villabassa e Dobbiaco, da Pircher, e monteranno dei rubinetti e una presa di corrente, stagna, per esterni.
E vogliamo mettere la soddisfazione di fare il caffè sulla caffettierina elettrica rumoreggiante-fumeggiante direttamente in giardino e sorbirselo con gran godimento sulla panchetta inglese tra i muscari e i narcisi?
Magari con un micio morbidoso che vi (ag)guata alla base del muretto?
Ma c’è molto ancora da fare. Abbiamo progettato otto circuiti, ciò fa molto Underground, mi rendo conto, ma per mettere YouTube sotto il prato con tutte le derivazioni che occorrono ci vuole una pazienza certosina. Ecco qui due linee della nostra metropolitana, una delle quali ha una fermata proprio dove indicato dalla freccia.
Le curve devono essere morbide, di modo da non ostacolare lo scorrimento dell’acqua.
Quanto all’acqua, dopo aver collegato (Piero) con pazienza certosina e cavetti arcobaleno le elettrovalvole alla centralina, dobbiamo aver fatto ridere mezza valle di Casìes, abitanti, vacche, gatti e pastori bernesi, quando sperimentavano molto da vicino, circuito per circuito, l’ampiezza di spruzzo degli irrigatori, per vedere se il loro numero non fosse tale da abbassare troppo la pressione, tanto da non fare alzare a sufficienza i pistoncini pop-up o viceversa. Diciamo che ci siamo idratati parecchio, via via che procedevamo, micio compreso, qui nell’atto di darsi alla macchia.
Risolti i problemi di aree non irrigate, i carsismi sospetti da tubo mal raccordato e valvole anarchiche, si giungeva al tanto desiderato momento di far tornare le esuli zolle a casa loro.
Ma il server di wordpress mo’ si è messo a dar di Matt(o) e quindi gambe in spalla, come il micio poco sopra, salvo tutto e il resto alla prossima puntata :-D.
M’ero ripromessa di annotare con maggior frequenza i progressi di primavera in giardino. Ma l’installazione di un impianto di irrigazione interrato (fai-da-te) ci ha portato via molti giorni. E tutto il resto che seguì, cioè la messa in opera di torrette di approvvigionamento acqua ed elettricità, con tutto il circuito elettrico interrato in giardino, occupò molte fine di settimana: molti venerdì, e sabati e domeniche. E qualche lunedì mattina, pure.
E non solo di maggio o di giugno: i lavori fervevano già nell’incostante aprile, estivo di giorno, di notte gelivo. Con scarse pioggie, con terra velocemente in secca, vuoi per il drenaggio, indispensabile per favorire il disgelo, vuoi per il vento, per il sole.
Avevamo, fino ad allora, una centralina Toro e quattro circuiti mobili, collegati alle rispettive elettrovalvole, fissate ancora provvisoriamente.
Nulla di interrato, solo tubi di gomma a vistose righe giallo-rosse in giro per il giardino, connessi a irrigatori Gardena e tubi neri, di gomma robusta, fissati alla recinzione o lasciati abbandonati sul terreno. Una presa per l’acqua soltanto, in un posto scomodissimo.
Tutto molto mobile, oltre che brutto, e, pure, ballerino. Noiosissimo tener dietro alla crescita dell’erba, rigogliosa che nemmeno in Irlanda, con le gomme e gli irrigatori dappertutto a intralciare.
L’uxoria fonte di manodopera – incaponita com’è proprio ai maschi – si ostinava a propormi l’impiego di un tubo gocciolante, sapete, uno di quei tubi percorsi da piccoli fori a distanze stabilite, senza minimamente tener presente la struttura del nostro giardino, che tutto è tranne che un disegno cartesiano abitato da piante militarizzate, rigidamente piazzate in linea retta.
Per giunta non sarebbe stato per nulla semplice, in questo modo, gestire l’irrigazione di un giardino a terrazzamenti, faticosamente ricavati, il cui epico lavoro illusterò in un altro post. Eccone uno qui sotto.
Il detto manovale ha pure elaborato una sua propria teoria di sapore rinascimentale, secondo cui l’acqua non scenderebbe verso il centro della terra, attratta dalla cospicua massa del pianeta, talvolta distratta da influssi lunari, bensì percorrerebbe, come dotata di spontanea sollecitudine, giusto giusto i tratti che la conducono alle piante delle mie aiuole, disposte, le une e le altre, in modo irregolare. Nel suo microcosmo provvidenziale un tubo ritimicamente forato a ogni magico intervallo di 40 centimetri, purché collegato all’impianto di casa, irrigherebbe non solo tutto il perimetro a siepe del giardino ma, pure, per il detto fenomeno di simpatia idraulica, i folti gruppi di crocus e scille, i muscari, le viole del pensiero, i trasognati narcisi, disposti più come pare a loro che com’è parso a me,
le bellis perennis, i phlox, le gypsophylla paniculata
e le altre piante disposte in prima fila, lungo i confini del reame, a congrua distanza dal pedale degli arbusti che ne seguono i margini, definiti da una bassa staccionata.
Per non dire delle aiuole più larghe, delle spinose berberis tra cui si propagano certi teatrali papaver.
e ancora altre bulbose.
E siccome all’Aquaterm di Brunico ha trovato e trova solidarietà in un magazziniere maschio pure lui, abituato a padroneggiare giganteschi tubi di acquedotti e condotte fognarie, non c’è stato verso di impedirgli di comprare qualcosa come un matassone di 250 m. del detto tubo. In nome delle armonie prestabilite, si intende, tra l’ordine dei tubi dell’acqua e l’ordine vegetale del mio giardino.
Rigido, inflessibile, ingombrante e, non marginalmente, di costo pari a 60 (sessanta!) euro, il matassone è giunto a casa, e da me messo prontamente in mora. Però mica è un improvvido, il Nostro: fiancheggiato dal citato magazziniere, esperto in giardini quanto una bruna alpina di cruciverba in francese, aveva pensato a un doppio percorso di questo tubo. Pensate alla gimkana per farlo passare in doppio tra le centinaia di bulbi di narcisi, crocus, scille ed altri oriundi olandesi, pazientemente piantati, che da qualche anno si moltiplicano quatti quatti, sotto il controllo del felino di casa. E amici e rivali suoi. E non dico di interrarlo (il tubo!).
Ometto i commenti, naturalmente, della sottoscritta ma devo riportare, per chi avesse curiosità antropologiche, la reazione: minaccia di sciopero su tutta la linea giardino. Con pronta, mia, ritorsione su minaccia di sciopero su tutta la linea ufficio.
Con la pazienza di un innestatore di peonie moutan e di un coltivatore di bonsai, memore del gutta cavat lapidem, l’ho infine convinto alla soluzione degli irrigatori pop-up: ovvero di quei dispositivi ctoni che si animano con la pressione dell’acqua e che, ergendosi di una quindicina di centimetri, in opera, mirabilmente distribuiscono acqua a spruzzo per via di un accessorio regolabile sia nell’angolo che nell’altezza del getto. Perché germogliasse nella sua testa questa soluzione, la prima e unica sempre da me caldeggiata, oltre a quella di uno specifico circuito a spruzzini di fino, c’è voluta una settimana di persistente lavoro sulla dura madre uxoria, resistente molto di più che una roccia intrusiva. E non mi riferisco alla su’ mamma che con la dura madre del figlio ha sempre dovuto lottare.
Con un colpo di mano all’Aquaterm di Brunico, con grande gentilezza da parte loro, visto che lo scontrino era stato scientificamente disperso dal citato marito, ho pure potuto restituire il matassone duecentocinquantametrato, con accredito dei 60 euro, somma subito investita negli irrigatori pop-up.
Quanto al progetto, che avrebbe richiesto preliminarmente un manometro e relative misurazioni della pressione di acquedotto ad ore campione (oh, li ho letti i manuali, eh! Ho scaricato Gb di file pdf con l’indicazione di tutti i do e i do not, che credevate? :-D), noi si è stati sull’empirico e si sono collegati via via i singoli aspersori su ogni linea, valutando le aree irrigate ad ogni nuova aggiunta. Ai detti manuali in pdf piaceva molto l’idea di giardini con aree verdi da giocarci Juventus-Milan, ma da noi ci son più piante che steli d’erba, per di più disposte in quell’artificiosissimo modo che chiunque voglia farle sembrare accrocchi naturali ben conosce.
E’ così siamo arrivati ai limiti dei circuiti consentiti dalla preesistente centralina. Santa Internet mi soccorre e in un battibaleno trovo un’altra centralina della stessa serie a otto circuiti. Qualcuno, previa telefonata di controllo magazzino, viene spedito ai limiti occidentali della Statale Pusterese, nella “bassa”, dove i rigori dell’Hoch Pustertal sono sconosciuti, il paesaggio è ritmato da vigne e meleti, e qualcuno sa più di giardini irrigati che di vacche all’alpeggio. Il fidato messo torna con l’indispensabile dispositivo e si passa un tot di tempo a prender nota di fili elettrici colorati con matite colorate e numerini di valvole. Gran cosa averlo trovato, quel dispositivo, perché in questo modo non bisognerà ricollegare ex novo le quattro elettrovalvole in funzione ma basterà dirottarle sulla nuova, fiammante, centralina Toro, di cui già conosco ogni dettaglio di programmazione.
Si armeggia una buona oretta, intorno ai colorati cavi, per collegarli tutti. Soddisfatti per la riuscita dell’operazione, sollevata io pure ma, di peso, rimasta, com’ero, bloccata in posizione china, su sgabellino. Gran cosa la posizione eretta per compiacersi dei propri dominii.
Cronaca del tempo: oggi, 5 maggio 2011, temperatura del mattino ore 8:00, – 3°C sul termometro di casa.
Aprendo le imposte poco prima, avevo adocchiato i capini affranti dei poveri Delphinium, quelli in potenza blu scurissimo, in posizione riparata, alti ormai di stelo una quarantina di centimetri. Pensando a una carenza d’acqua ero uscita subito per provvedere.
Tulipani Apricot Beauty ancora stupefatti, a bocca aperta.
Dal getto di irrigazione nemmeno una goccia: ahimé, l’ennesima gelata blocca la fuoriuscita dell’acqua.
Lettura del termometro per verificare l’ipotesi con la scienza. Conferma: avvilita, nonostante la giornata di sole e temperatura diurna apparentemente più che mite, mando qualche accidente alle escursioni termiche mentre constato che ci risiamo con l’estate di giorno e l’inverno di notte.
Evito di guardare la magnolia stellata immaginando gli straccetti ex fiori, sorpresi dalla gelata sprovvisti dei pellicciotti di protezione invernale.
Anzi la guardo. Che tristezza questa (s) fioritura beige-marroncino! Per giunta sullo sfondo di un prato più giallo che verde per via dell’onnipresente tarassaco in fiore. I miei sogni di biancheggianti, odorose fioriture su sfondo verde appassiscono in un fiat.
Per consolarmi, ma con scarsa fiducia, stamattina ho messo mano alle semine dei muscari armeniacum, ora in fine di fioritura. Semi lasciati maturare e raccolti lo scorso anno, mi pare senza pregiudizio per i bulbi. Promemoria: devo ricordarmi di raccogliere i semi di quei muscari salvati dall’angosciante cumulo del compost del vivaio.
Ne devo prendere nota per non scordarmente, e se qualcuno per caso mi leggesse salti tutto a pie’ pari: li ho piazzati ai piedi del malus lisette più esposto, sul davanti del muretto nei pressi del malus red jade (prima fila verso la valle), ai piedi del prunus serrulata royal burgundi, ad est tra le piante di fragola a fiori rosa, salvate dal mucchio del compost da obojes, ai piedi del prunus cerasifera nigra, tra gli altri muscari, in seconda fila rispetto ai crocus bianchi (e viola), ai piedi della rosa nevada, al confine del muretto di contenimento. Seminati in superficie, chissà. Pare ci vogliano un paio di anni per la formazione del bulbo.
Almeno secondo quanto leggo qui
propagazione: Tramite bulbi a fine autunno o semi a inizio primavera fine inverno. Si piantano i bulbi, alla profondità di circa 8 cm e spaziandoli di circa 10 cm. in zone ben esposte alla luce all’inizio dell’autunno. Dopo 2 anni è possibile effettuare la divisione in cespi o utilizzare i bulbilli per la propagazione. Dagli esemplari propagati per semina o tramite bulbilli, per ottenere una fioritura bisogna aspettare almeno 2 anni.
Oh, sono in debito con questo mio diario di una foto dei bellissimi portasemi dei muscari. Delicati gli steli in fiore e, liberati dei piccoli semi scuri scuri, affascinanti nelle loro trasparenze una volta secchi.
Dovevo qualche riga alle scille, e alla loro anarchica fertilità.
Ecco qui, per chi abbia voglia di osservare con calma, meglio se in grande, quasi tre generazioni di scilla siberica (o sibirica):
Il fiore visitato dall’ape, in pieno fulgore, un calice appassito già fecondato, un portasemi a forma di lampione, ancora verde: una capsula che a maturazione, quando lo stelo, inclinandosi via via, si farà sempre più basso, si aprirà liberando i semi sul terreno.
E le piccole scilla: un esile foglia, si direbbe, qualcuna con il tegumento del seme ancora in forma, in testa a mo’ di cappellino.
In questa ripresa dell’autogestita nursery i dettagli si vedono meglio. 🙂
Le scille sono in compagnia dei crocus bianchi, con cui quasi fioriscono in contemporanea, ai piedi dei cornus alba sibirica alcune ed altre ai piedi del malus John Downie: i piccoli semenzali precedono sia gli adulti che i crocus, mi chiedo quando saranno in grado di fiorire.
OPPOSTI MA CON GUSTO Blog di racconti enogastronomici a partire da due punti di vista differenti: una buon gustaia in carne, tendente al fritto, in viaggio con una buon gustaia personal trainer, tendente salutista! Qui la tradizione si fonde con le nuove esperienze, le ricette diventano ricordi e la condivisione ha un sapore leggero e simpatico.
Una famiglia alla ricerca dell'equilibrio tra figlie in crescita, esperimenti di panificazione e vita in campagna. A family in search of balance between daughters growing, experiments of bakery and country life.
Non ci accomuna l'etnia. Nè la lingua araba,inglese,cecoslovacca,turca e chi più ne ha più ne metta; nè il modo differente di vestire e le innumerevoli culture.Ma c'è qualcosa che ci unisce più di tutte e che da vita ad un arcobaleno colmo di tradizioni,colori e sapori:la cucina.Che sia semplice o elaborata,in tutte le sue forme non è altro che il frutto del nostro essere.Che sia cinese,francese o italiana è la convivialità,l'amore per la tavola e la gioia di condividerla con i nostri cari a formare un unione vera e propria,che si spera,con il tempo,non scomparirà mai.
Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.” Due frasi, due concetti che definiscono la mia filosofia di cucina. Il tutto condito poi con passione, allegria, costanza, tenacia e grinta e amore