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Il piccolo giardino in Valle di Casìes

Gelée di mele alla menta fresca Ferber Mes Confitures

gelee des pommes a la menthe fraiche
Gelée di mele alla menta fresca Gelée de pommes à la menthe frâiche

Christine Ferber Mes confitures

Sono entusiasta di questa gelée, dall’autrice collocata in primavera, cosa che mi rende molto dubbiosa circa le stagioni in Alsazia. Ci vorrebbero mele acerbe e menta fresca ma mi sa che la signora in questo caso abbia toppato stagione, anticipandola un po’ troppo.

Comunque io l’ho fatta, a ottobre, con pomi e menta del mio giardino in Val Casìes, a 1260 metri di altitudine e suolo gelato da novembre a quasi aprile, coi frutti ancora, e per sempre, acerbi del mio Malus Ballerina e una menta piperita, rapente, che rapii a mia volta da qualche vaso del déhors dell’Hotel Ala, in campo San Maurizio, a Venezia, poco lontano da casa. Raccolta autorizzata dal barman, che la utilizzava per il suoi Mint Julep.

Se voleste fare incetta di mele acerbe penso che la stagione migliore sia l’estate, al suo inizio: credo di non sbagliare scrivendo che nei mesi di giugno e luglio i coltivatori di meli rimuovono dalle piante un certo numero di frutti, insieme per non esaurirle e per ottenere pezzature più grosse. Varrebbe la pena di informarsi se e chi nei vostri pressi coltivi mele o di concedersi un viaggio, o un soggiorno. in Trentino o in Alto Adige, per far provviste, e non solo di melette acerbe. Magari in Alto Adige in un maso che proprio coltivi questi frutti! Buttate un occhio qui: www.gallorosso.it. E’ un consorzio di contadini e allevatori che offre ospitalità, spesso in masi storici, e comunque sempre molto belli: loro ricevono un contributo dalla Provincia ed è per questo che le sistemazioni sono molto convenienti.

Tornando a noi:

1,5 kg. di mele Granny Smith (meglio se ne trovate di malmature da qualche parte e di qualsiasi varietà, purché acerbe)

1,5 kg./l. di acqua

1 kg. di zucchero semolato

il succo di un piccolo limone

1 mazzetto di menta fresca (io piperita e in procinto di fiorire, al massimo del suo profumo, e quasi soccombente alla neve, ormai prossima)

Sciacquare le mele in acqua corrente e rimuovere il piccolo, tagliatele in quattro senza pelarle, complete di torsolo e semi, e mettetele nella pentola di cottura insieme all’acqua. Portate a ebollizione, lasciando sobbollire per una mezz’ora a fuoco dolce. Non mescolate, non tenete la fiamma alta perché questa è la fase di estrazione del succo e meno movimento c’è maggior purezza avrà la gelée che su questo si basa.

Le mele saranno tenere. Sciacquate per bene la menta e mettetene da parte venti foglie in un piccolo telo umido.Aggiungete il resto della menta, i rametti colti, alla cottura delle mele e lasciate in infusione per un quarto d’ora. Infusione, eh, a fuoco spento, non decotto.

Raccogliete il succo passando il tutto dapprima in un chinois fine (prevista una leggerissima pressione con la schiumarola, ma leggera eh!) e poi mettetelo a scolare in un’étamine (io uso un telo di lino da casaro doppio) preventivamente fatta bollire e strizzata. Se avete una jelly bag usate quella, sempre previa sterilizzazione mediante bollitura.

Se lo lasciate tutta la notte in un luogo fresco si decanterà ottimamente, e il deposito delle impurità resterà sul fondo del recipiente di raccolta, a ulteriore vantaggio della trasparenza della gelatina in dirittura di arrivo.

Il giorno dopo, versando molto lentamente e senza scossoni il succo, misuratene un kg, lasciando il fondo al suo destino di deposito. Riunitelo insieme al succo di limone (filtrato) e al kg. di zucchero, magari scaldato un pochetto nel forno al minimo, e portate pian piano, mescolando, au frémissement, scrive la cheffa, al fremito. Schiumare e schiumare e alzare la fiamma quando non ci sia più gran galleggiare di impurità da schiumare. Allora, a fuoco vivo, portate il succo alla consistenza della gelatina, ovvero a 105 °C. misurati dal termometro. Dice la Ferber in cinque o dieci minuti. A me, con il piano di cottura in vetro ceramica, ahimé, di tempo ne occorre di più.

Non dimenticate, prima di invasare, di recuperare le venti foglioline di menta, messe via, e ripartitele nei vasetti. Invasarea a caldo.

Il profumo della menta, che deve essere eccellente, vi sorprenderà sia al momento dell’assaggio che come freschissimo retrogusto. Naturalmente il meglio si ottiene partendo da succo di mele acerbe, che sono prive di quel gusto dolce, altrimenti amabile ma qui non desiderabile, di mela cotta.

P.S. che fare con quel che è rimasto delle mele? Una composta, una confettura, un fruit cheese, una pasta di frutta. Dopo averla passata e unita al deposito che avete scartato per fare la gelatina.

Croissant Eric Kayser Pasta sfogliata lievitata – Larousse du Pain

croissant Kayser Larousse des Confitures. Molto ambiti!
Suspence e inseguimenti alla ricerca dei croissant appena sfornati.

Roger O. Thornhill cammina in pieno giorno su una strada isolata in Alta Pusteria, e viene attaccato da un misterioso aereo adibito all’irrorazione dei campi, che lo insegue verso una casa tra i pascoli, che attrae con forza magnetica il circondario.

Sequenza entrata nella storia del cinema e di cui qui si svela l’arcano, non presente nella sceneggiatura definitiva.
I croissant irreristibili appena sfornati, o quasi, fatti da un’insospettabile massaia che reca ancora in mano un libro dal titolo Le Larousse du pain.

Sì, pure questi ho provato, e devo dire che la prima volta non avevo ben capito le dimensioni da impartire alla sfoglia, e ancora non le capisco, così come scritte nella ricetta.  Che ho ricalcolato, tuttavia, e nel secondo giro ho seguito la mia versione,  ottenendo dei croissant della misura, e spessore di pasta, voluti.

500 gr. di farina T65  (usato Rieper etichetta blu)

220 gr,. acqua a 10* C (è fredda fredda eh,  misurate la temperatura)

50 gr lievito liquido (fatto così)

20 gr lievito di birra fresco

10 gr. sale

70 gr. di zucchero

1 uovo (50 gr.) + un altro uovo per pennellarli

25 gr. di burro ammorbidito

250 gr. di burro refrigerato

1 uovo per pennellarli (ma se l’ha già inserito prima, penso sia un errore).

Nella ciotola dell’impastatrice riunire la farina, l’acqua, il lievito liquido, il lievito di birra sciolto in un po’ dell’acqua, il sale (lontano dai lieviti), lo zucchero e l’uovo. Mescolare per cinque minuti a velocità lenta, poi altri cinque minuti a velocità maggiore, incorporando in burro ammorbidito negli ultimi tre minuti di questa fase.  State molto attenti a non sviluppare il glutine, che vi renderebbe la pasta troppo elastica e reattiva, ribelle alla stesura in sfoglia.

Formate con l’impasto una boule e mettetela in frigo per un’ora, in una terrina coperta  da un telo inumidito. (Io metto il tutto in un contenitore o un sacchettone di plastica).

Verso la fine di questo tempo estraete dal frigo il burro e, steso tra due fogli di carta forno, ammorbiditelo appiattendolo – facendo in modo che non si scaldi, e bene sarebbe che queste lavorazioni si espletassero in un ambiente il più possibile fresco – con dei colpetti di mattarello, facendo assumere al panetto una forma rettangolare e già tenendo presente che le dimensioni finali del burro, sulla pasta spianata,  dovranno essere – qui ho calcolato io – quelle di un quadrato di cm. 28 x28, circa.

Io ho usato il burro della Latteria di Vipiteno la prima volta e quello della Mila la seconda, entrambi ottimi burri dell’Alto Adige prodotti per centrifugazione della panna, e mi sono trovata ottimamente. Ho sempre spianato il burro in quadrato, prima battendolo col mattarello, poi usando il mattarello nel modo consueto per dare uniformità allo strato, e sempre con occhio al righello per le misure.

Infarinare il piano di lavoro e stendere l’impasto refrigerato. Formate un rettangolo di 30 x 60 cm. dello spessore di 3 mm. con uno dei lati più corti prossimo a voi e quello lungo svolto davanti a voi. Sono utili, in questo caso, delle barrette di quello spessore, se avete un mattarello opportunamente lungo o, come ho pensato io (ma devo ancora sperimentarli) comprando degli anelli di quello spessore, in materiale relativamente elastico, del diametro interno pari a quello dal mattarello, su cui vanno montati semplicemente infilandovelo, ai lati estremi.  Sperimenterò e mostrerò il mattarello con gli anelli, se funzionerà.
Verificate, spostandola leggermente e sollevandola dal piano, la dimensione attuale della sfoglia, ché l’elasticità di quel poco di glutine, pur sviluppato, fa ritrarre la pasta. In tal caso, lasciate un poco riposare la pasta, coprendo con un telo appena inumidito (ma poco poco, magari basta un telo asciutto spruzzato leggermente dall’esterno), e riprendete dopo il relax.

Stesa così la pasta, troverete molto comodo aver formato il quadrato di burro tra i due fogli di carta forno, controllerete se le dimensioni siano giuste (in trasparenza lo si vede bene) e se tutto è OK rimuovetene uno,  girate il tutto verso la pasta, ricoprendone la metà superiore (lasciando quel po’ di spazio ai lati, di esubero della pasta rispetto al pannello di burro) e coprite con l’altra metà, a libro.
Fate ruotare di 90 gradi la pasta in modo di avere gli estremi  sovrapposti sul lato destro. Avrete una specie di libro chiuso davanti a voi, di 30 x 30 cm circa, dal basso avrete la copertina inferiore, di pasta, un foglio di burro, la copertina superiore, ancora di pasta.

Numero, di seguito i passaggi di piegatura, per comodità.

1) prima piegatura a tre

Stendere la pasta davanti a voi, di modo da formare un rettangolo con un lato allungato di un terzo rispetto a sé stesso (uno dei lati di 30 diventa così di 30 + 30*1/3 = 40 cm)

Ripiegate in terzi secondo il lato più lungo, come una lettera commerciale, avendo cura di spazzolare le superfici dell’impasto così stratificato, di modo da liberarli dall’eventuale farina, indesiderata, tra le pieghe.

Si prende un terzo di sfoglia partendo dal lato più prossimo a noi e la si piega sul secondo terzo (centrale) della sfoglia,  si prende l’altro lembo di pasta, quello superiore e più lontano a noi, e lo si piega sui due strati appena sovrapposti. Si ottiene occhio e croce un rettangolo di larghezza pari a 30 cm (è rimasta invariata, più o meno) e di lunghezza, da 40 cm, ridotta a poco più di 10 cm.
Imprimete leggermente con il mattarello, o con un altro strumento, un segno in un angolo (promemoria per il primo giro) e mettete in frigo per un’ora.

2) seconda piegatura a tre

Infarinate il piano di lavoro, disponete la sfoglia con i lembi estremi di sovrapposizione alla vostra destra e stendetela aumentandone la lunghezza di un terzo, fino a 40 cm.,  e a 3 mm. di spessore.
Se per caso sentiste che il burro è molto freddo e non si lascia stendere all’interno della pasta, battete molto ma molto ma molto delicatamente qualche colpetto di mattarello, con molta attenziaone (molta ma molta). Il burro deve rimanere freddo, mi raccomando, ma lasciarsi stendere. Se per caso il burro desse segni opposti, per troppo calore ambiente, non esitate a refrigerare alla velocissima, così com’è, e a riprendere il lavoro dopo un po’.
Ripetete la sequenza di pieghe a tre.  Avvolgete per bene in pellicola, marcate un doppio segno e mettete in frigo un’ora.

3)Terza, ed ultima, piegatura a tre

Ripetete la fase precedente, marcando con un triplo segno l’impasto e rimettete in frigo un’altra ora.


Fase di stesura della sfoglia finale, taglio e preparazione dei croissant.

Infarinate il piano di lavoro e stendete la sfoglia allo spessore di 2-3 mm. con molta prudenza. Io qui mi arrendo e non capisco la ricetta, che prescrive di ottenere una forma il più possibile rettangolare (e ok, ci siamo) ma “due volte più lunga che larga, ovvero da 24 -25 cm di larghezza per  e da 80 a 100 cm. di lunghezza”. Se avete il libro e capite cosa intende datemi una mano, vi prego. Io, alla luce di quel che leggo nel prosieguo della ricetta, ho steso la pasta nelle dimensioni di un rettangolo di 60 x 30. Infatti poco dopo dice di piegare la sfoglia in due nel senso della lunghezza, si tratta di impartire una piega leggera al solo scopo di ottenere un segno da seguire per tagliare in due la sfoglia, sovrapponendone gli strati per poi tagliarli e ottenere due croissant alla volta con un taglio solo.

Quanto ai croissant fa un pochetto imbestialire perché invece di dirne base e altezza dice la base e un lato, costringendo la tapina qui scrivente a ricalcolarsi, col teorema di Pitagora, l’altezza del detto triangolo.
Dice infatti che i triangoli devono avere una base di 10 e i lati di 16-18 cm (l’altezza di triangoli siffatti è pari a 15 cm ed è per questo che ho deciso che l’ultima sfoglia avrebbe avuto un lato di 30 cm, appunto il doppio dell’altezza dei croissant).

Per tagliarli fate come volete, io li ho tagliati sia dividendo la sfoglia (di 60 x 30) in due sfoglie di 60 x 15, sovrapponendole (la prima volta) sia tagliandoli dalla sfoglia grande (la seconda), mettendo le tacche di 10 in 10 cm sull’impasto per la misura.

Ricordatevi sempre che se l’ambiente è caldo il burro si comporta male, refrigerate previdenti,  se occorre, soprattutto nella fase successiva il freddo ricopre un ruolo essenziale.

A questo punto formate i croissant, prima stendendoli ancora col mattarello, e mano leggera, dalla base alla punta. Io dilato un poco la base prima di avvolgerla, ma non so se così vada bene, qualcuno incide a metà, con un brevissimo taglio, la base. Avvolgete i croissant facendoli rotolare su se stessi sotto la vostra mano, utilizzandola a tutta lunghezza. Curate che la puntina finale stia sotto il croissant, per non liberarsi in fase di lievitazione o cottura. Curvate verso l’interno le punte laterali conferendo la forma di lunetta ai croissant.

Disporre i croissant su griglie ricoperte di carta forno e lasciate che lievitino un paio d’ore a temperatura ambiente, magari nel forno non acceso, tirandoli fuori al momento del preriscaldamento s’intende.

Portate il forno a 170° C mettendo una leccarda sul fondo. Dorare i croissant pennellandoli con l’uovo sbattuto (a proposito non mi è chiaro perché tra gli ingredienti mi piazzi due volte un uovo per la doratura) Sempre a proposito di lucidarli con l’uovo altri autori pennellano due volte, la prima appena dopo l’avvolgimento, la seconda prima di infornare.  E con uovo leggermente sbattuto con un po’ di acqua, di solito.

Prima di infornare gettate 5 cl di acqua caldissima sulla leccarda, chiudendo immediatamente il forno, fate cuocere per 15 minuti con gli occhi ben attenti alla doratura, che non si trasformi in carbonizzazione 🙂

Estratti dal forno che siano, farli raffreddare su un’altra griglia.

Un video, infedele al libro, in cui si vede l’ottimo Kayser in opera, utilissimo per vedere molte cosette, compresa la manipolazione dell’impasto a mano (ingredienti diversi, a quel che ho capito) e soprattutto la formazione dei croissant.

Quella perturbazione da Genova che ci riportò l’inverno

e crocus e rondini esterrefatti, e pure qualcuno che si era infrattato, con l’ostica ghianda, nel mio giardino.

L'era glaciale

 

Perché gli impavidi crocus s’erano schiusi al sole primaverile mentre la scrivente conservatrice ammodino, sempre appassionata di vasi laqualunque, si affacendava a rimuovere le protezioni invernali dalle amate veneziane rose, e peonia moutan (d’antan), e a stivar paglia in ampi sacchi, e a ripiegare jute in fasce e in teli, e tessuto non tessuto, e reti, e cannicciati. Il canetto trovava il modo di ottenere lanci perpetui di giochi e croccanti bottiglie in PVC piazzandosi sulla paglia o sulle pacciamature, ramazzando, magari, pure in vicinanza dei bulbi.

 

Ghe sbocio che bel màscio che ghe xe!

Fare ricattatorio, che costringeva la povera conservatrice a continui lanci e incitamenti al riporto. Ché col disgelo e coi tepori diurni le piante vegetano – l’albicocco, serrato contro il muro a Sud, comincia a fiorire, tra api felicemente ronzanti intorno – e non si possono lasciare in quei caldi e bui castelli in cui furono imprigionate a novembre.

Come ogni anno, al disgelo, il giardino ricompare germogliante e ciò che è stato liberato deve essere subito riparato con qualcosa di più leggero, che l’acqua e la luce lasci passare, lasciando fuori, il più possibile, freddo e neve, sempre frequenti in queste primavere a 1.260 metri sul livello del mare.

Eccoli qui, i crocus nella neve, puntuti, stupefatti e chiusi, che il gelo trattiene nonostante il sole ben affermato ed alto nel cielo.

E lo sapevamo, noi crocus, che una rondine non fa primavera!

 

Qui tutti coperti, sotto la coltre bianca, nella fiabesca luce del mattino di Ausserpichl.

 

neve del 24 marzo 2014

 

 

 

Succo, gelée, riserva di pectina da frutti che ne sono ricchi,come da mele malmature, crabapple, mele o pere cotogne

L'indomito Malus Ballerina a settembreL’autunno, qui da me a 1.260 metri in Valle di Casìes vede ancora sui rami le mele del Malus Ballerina, se siamo stati fortunati, del Malus John Downie e del Malus Red Sentinel, oltre ad altri frutti di cui parlerò in altro momento.
Malmature tutte, più o meno come in agosto, credo, nella zona dei meleti in Alto Adige, zona più bassa e mite, e in Trentino.
Ottima cosa per me che amo le gelée di molta frutta con scarso gelificazione e non vado matta né per la pectina aggiunta o zuccheri gelificanti, che tuttavia in certi casi utilizzo, né per il sentore forte di mela se si utilizza succo di mele Granny Smith o altre mele quasi mature o mature.
Con queste mie mele molto acide ottengo o gelée finite oppure una provvista di succo da addizionare, come integrazione di pectina, in altre gelée, di altra frutta o profumate di fiori, come quelle alla rosa, o erbe aromatiche. Con o senza spezie aggiunte.
E le mele, o pere, cotogne, non nel mio giardino, che il cotogno è sì resistente a minime di -15. come leggo in giro, ma forse non ai -25..
Ecco come ottenere ottime scorte di pectina o gelée particolarmente interessanti, come questa (dal Malus Ballerina aromatizzata con menta fresca (in secondo piano, e fuori fuoco, dal Malus John Downie al cardamomo e rosa rugosa Hansa)):gelee des pommes a la menthe fraicheo queste, dal Malus John Downie e baccelli di vaniglia regalo della mia amica Giuliana.

gelée des pommes malus john downie

Io seguo il metodo di Christine Ferber, seguendo la ricetta del Larousse des confitures, lievemente diversa da quella presente nell’altro suo libro Mes Confitures.
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In questo caso per le mele/pere cotogne:
1 kg. di mele/pere cotogne
tanto peso in zucchero quando peso del succo ottenuto
1 limone (unito eventualmente ad altro, vedere la nota in calce) per ogni kg di succo ottenuto
1) Estrazione del succo (da mele/pere cotogne mature e profumate).
Tolta con un panno la peluria che avvolge i frutti, sciacquarli in acqua fredda, liberarli del picciolo e di quel che resta del calice.
Pesarli e calcolare un peso doppio di acqua.
Tagliarli in quarti lasciando torsolo,  semi e bucce e poi a pezzotti.
Metterli in una casseruola coprendoli del quantitativo di acqua necessario (in genere il rapporto 2:1 acqua/frutta è giusto) e fare cuocere a fuoco dolce per 30-40 minuti, senza mescolare. I frutti si devono poter schiacciare con la pressione di un dito.
Filtrare (così faccio io) attraverso un’étamine o un telo da formaggio, questo secondo è un telo in lino che uso doppio, che faccio bollire poco prima per una decina di minuti e strizzo bene e far colare il succo in un recipiente non metallico, in vetro o acciaio inox. Non comprimere in nessun modo la frutta, non strizzare il tessuto che contiene la polpa, ché noi si vogliono gelée perfette.Lasciar scolare e decantare tutta la notte in luogo fresco. Potrete o metter via in dosi opportune il succo (in freezer) per utilizzi successivi oppure procedere, dopo la decantazione, alla preparazione della gelée.
2) Gelée
Travasare lentamente in altro recipiente, non arrivando alla fine del contenuto, di modo che il sedime del riposo notturno non intorbidi in nessun modo la nostra luminosa gelée, che schiumeremo quindi meno.
Pesare il succo ottenuto e mettere in frigo la frutta, che servirà per altro, per esempio un fruit cheese, di cui, per le cotogne, trovate la ricetta qui.
Pesare tanto zucchero quanto il succo, calcolate un limone per kg. di succo. Se voleste aromatizzare con buccia di limone la gelée prelevate le scorzette del limone prima di spremerlo.
Io trovo utile scaldare un pochetto lo zucchero (e lo faccio nel forno, che contiene già i vasi da sterilizzare) a 50 gradi, temperatura che poi alzerò una volta tratto fuori lo zucchero.
Riunire nella pentola da confettura (larga e svasata) il succo di cotogne. il succo di limnone e lo zucchero e sciogliere a calore molto dolce quest’ultimo (difetti se si alza la fiamma prima che lo zucchero sia disciolto perfettamente).
Portare a ebollizione, schiumare con diligenza  certosina (io uso oltre alla schiumarola, quando il prodotto non è ancora troppo denso, un colino a maglie fitte (in acciaio inox) entro il quale verso mestolate del succo che si va addensando, sopra la pentola stessa).
Lasciate cuocere a fiamma viva, più o meno dieci minuti per la Ferber per me di più perché non ho un bel fornello a gas come vorrei, in ogni caso fino a tenuta della gelée, ovvero a 105° C, che io misuro con un termometro a sonda, e con controllo della goccia su piattino freddo.
Invasare (io in vasi caldissimi, a volte usando ancora il passino, se noto imperfezioni nella gelée) e incoperchiare con coperchi fatti bollire poco prima.
N.B. Poiché le cotogne si associano meravigliosamente agli agrumi e alle spezie potrete profumare questa gelée aggiungendo  (per kg. di frutta) scorzette di un’arancia e di un limone non trattati, cannella in canna, 1/4 di cucchiaio da caffé del meraviglioso cardamomo (di cui macinerete i piccoli semi al momento). Con le mele (renette) al forno l’aggiunta di un po’ di questa gelée sarà da sballo.

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