Il mio ultimo generato :-), la cui ricetta trovate qui, è nato come lievito liquido, con idratazione al 100%, idratazione mantenuta sempre in quella misura pesando farina e liquido in ogni rinfresco, salvo eccezioni volute.
L’ho fatto seguendo la ricetta di Eric Kayser, dal suo libro 100% Pain : La saga du pain enveloppée de 60 recettes croustillantes, che ho poi integrata, nel successivo mantenimento, con qualche suggerimento ripreso dall’ottimo (mai abbastanza consigliato) libro di Peter Reinhart, Artisan Breads Every Day, e tenendo in mente le preziose considerazioni di tutta una serie di autori di monumentali libri cult sul pane circa le variazioni di sapore percorribili, circa il lievito madre, con accorgimenti di temperatura e idratazione dello stesso. E non solo questo, ma anche indicazioni di conservazione, tra cui quella attinente alla temperatura per mantenere in vita, e propagare quindi nella sua interezza, l’insieme dei microorganismi così pazientemente coltivati nella generazione del primo lievito naturale.
In realtà ho poi utilizzato questo lievito per diverse ricette, in primis per testarlo sulle ricette di un altro libro dello stesso autore, Le Larousse du pain, che vi raccomando, e nel quale la ricetta per preparare il lievito madre è lievemente diversa, e, in secundis, l’ho trasformato in un lievito più sostenuto, al 50% di idratazione, per utilizzarlo nelle ricette del citato Reinhart, come questa, che ho realizzato felicemente nella versione purista :-), solo con lievito naturale, e con aggiunta di lievito di birra, in modesta quantità (la mia preferita).
Nella mia piccola, ma di giganti, bibliografia, a proposito di temperature minime di sopravvivenza di quella parte di microorganismi che entrano in gioco nella complessa lievitazione (i lieviti selvaggi, wild yeast nella letteratura anglosassone) si indica una gamma di 8°- 10* C per la loro sopravvivenza, studi dimostrano che quelle popolazioni muoiono se conservate al di sotto di quelle temperature (anche se tenuti in frigo per oltre 48 ore). Ho spesso avvisato – invano – di non surgelare i propri lieviti naturali e di misurare la temperatura dei vari ripiani dei frigoriferi (le temperature dei ripiani più alti sono meno basse di quelli inferiori) per evitare la perdita di questi lieviti.
Con scarso successo, devo dire, perché a temperature basse sopravvivono altri organismi, i batteri, anche aggiunti con yogurt e prodotti fermentati, come il cultured buttermilk, che fanno gonfiare comunque il lievito, nei rinfreschi, e il pane, ma senza l’apporto dei defunti, appunto, lieviti. Il che conferisce un gusto diverso e meno ricco alle preparazioni, ché non solo di bollicione si fanno lieviti e pane.
Eppure ci vuol poco, almeno, a misurare le temperature dei vari ripiani del frigo, e regolarsi di conseguenza. Più duro rinunciare al freezer, certo, ne sono consapevole, se si vuole conservare tutto il prezioso patrimonio di piccoli organismi, che dovrebbe essere lo scopo di chi vuole utilizzare fruttuosamente il lievito madre.
Bibliografia:
LE GOUT DU PAIN. Comment le préserver, comment le retrouver
(io l’ho comprato in edizione digitale, visti i prezzi micidiali dell’edizione cartacea, e nell’edizione americana The Taste of Bread(vedere le note del traduttore perché le formule sono state modificate per via dell’idratazione maggiore, necessaria per le farine americane)
questo libro è citato da una pletora dei maggiori autori sull’argomento, per esempio da:
Julia Child, nel suo Mastering the Art of French Cooking Volumes 1 and 2
dall’ottimo Hamelman, in Bread: A Baker’s Book of Techniques and Recipes, che cita anche altre studi convalidanti la questione temperature minime. E che istruisce i panettieri professionisti circa il modo di manipolare il gusto del lievito madre agendo su due fattori, che portano a sviluppare gusti diversi. Come indico qui.
da Peter Reinhart in molti (tutti?) i suoi testi