Il mattino si apre su una neve noiosa e stanca: fiocchi come sfilacciati cadono indecisi e molli. Mi affretto a cogliere le ultime rose, con cui arricchirò, assieme a cardamono, scorzette di limone e pistacchi una certa gelée di mele cotogne, con qualche petalo di mela annurca a folleggiarci dentro in trasparenza.
Rifornisco le mangiatoie per gli uccelletti, che con questo tempo di nuovo si avvicinano ai ristorantiny fly-in, e il canetto, che c’ha un sensore igrometro incorporato, mette in scena la pièce de “Il tremebondo morituro” riluttantissimo ad uscire, com’è, nel paesaggio ancora umido, colorato e autunnale.
Ma quanto tutto si è imbiancato, e si è di ritorno dall’averlo trainato, imbaccuccato nella paralizzante giacca invernale Hurtta, fuor di casa sulla strada e in zona “igienica”, e tutto è compiuto, eccolo fremere per uscire in giardino, minacciando, da dietro il vetro della portafinestra, gli uccellini avvicinatisi a casa.
E,una volta uscito, eccolo slanciarsi in corse sfrenate, intervallate da brusche soste del tipo “‘a neve, tu m’hai provocato e io me te magno”. Ignudo, senza cappottino, tre minuti di “arriba arriba, andele andele andele” intorno agli alberi e su e giù per il giardino, mentre i trattori, che di primissima mattina avevano cosparso i prati di urina delle vacche, se ne vanno, lenti, tracciando nastri verdi nella neve fresca, e le ultime mucche aspettano il loro ritorno, con l’autobus :-), per il trasferimento dal pascolo in stalla.
Ho un bellissimo Malus John Downie, che quest’anno mi ha regalato molte melette, che gli anglosassoni chiamano Crab Apple, come i frutti, in genere, di molti meli “ornamentali”. Ho fatto moltissime gelée con queste melette malmature anche a ottobre, e sottaceti. E, nel caso delle gelée, ho riutilizzato il residuo della colatura del succo per fare questa pasta, con la polpa passata e poi fatta restringere sul fuoco con zucchero e spezie a piacere. O con erbe. Non solo la pasta si può ottenere ma anche composte, da consumarsi a brevissimo, e quelle conserve che gli anglosassoni chiamano Butter o il più duraturo Cheese
L’estate si è stemperata in questo autunno dolce, di clima e frutta, venato di tanta nostalgia del nostro micio, che non abita più la sua valle se non per via dei nostri sguardi che lo cercano ancora, mentre il nostro cuore sa che agguata ancora le sfortunate arvicole ai piedi del muretto suo, sonnecchiando sotto a una thuya profumata e ai fiori azzurri, trovatelli come lui.
Gli alberi sono cresciuti: il coraggioso venostano vive in simbiosi, ormai, col muro di casa, e ci ha regalato le prime, ottime, albicocche. Colpite dalla grandine ma presto cicatrizzate e buonissime, molto appezzate dal canetto raccoglitore, questo buffo coso che ha imparato a saccheggiare le piante di lampone, di fragole, e pure ci prova con le albicocche, ai rami inferiori.
L’ottimo Malus John Downie, che quest’anno non ha avuto i problemi giovanili con gli afidi, si è espanso e ha prodotto tanti pometti deliziosi: viste le previsioni per le prime nevicate, quest’anno fin’ora due e leggere, ne ho raccolti moltissimi.
Cestini e cestini che ho trasformato in splendide gelée, alcune profumate di petali di rose raccolte in giardino, o di melissa, di rosmarino, altre arricchite di zenzero, uvetta, pezzetti di altre mele. Tutto uno sfaccendare tra schiumarole, pignattoni, e canetto pronto alla rapina, matto per la frutta com’è. E matto in genere, naturalmente.
Eccolo qui, il detto, che si è appena sfrugugliato una pianta di ribes con qualche frutto ancora appeso.
Che di nome fa come l’ultimo nome del nostro amato micio, Papo, Papo Sgnàpo per la precisione. Quel nome riecheggia ancora in valle, quando invano lo richiamo, il malnàtt, visto che scappa furbescamente nel pascolo vicino, e fa pure il bulletto con le quiete mucche, che non se lo filano. O che se appena si volgono, incuriosite, su di lui, son fughe preste a orecchie ad alzo zero e via di corsa al sicuro da mammà, prima del tutto ignorata.
O che fare quando sente il trattore sferragliante in arrivo, dal maso, a spargere letame o urina delle vacche, e parte a razzo? Cosa se non scapicollarglisi dietro, se non altro per esser vista da chi guida, di modo che si accorga di quel microbo palestrato, seguito da gesticolante femmina. Che sarei io, il suo capobranco, è chiaro. Che sbraita invano e lo brinca fortunosamente al volo, quando va bene, quando costui si lascia avvicinare, con aria manigolda e profumo che vi lascio immaginare, salvo poi atteggiarsi principescamente, come qui sul tronetto antistante le rose narrow waters.
Tutto è pronto, così almeno pare, per iniziare la posa dell’impianto di irrigazione e, contestualmente, di quello elettrico.
La giornata (data astrale 25 aprile 2011) si apre luminosa e fresca: boschi silenti attenti, uselèti a capofitto nei canederli.
Foglie, fiori lumeggianti lumeggiati.
Gatti felineggiano guardinghi. Pronti alla fuga.
Natura tutta sospesa in vista dell’epifania di Mechanica Hydra, divinità degli zampilli a timer.
Passiamo in rassegna, compiaciuti, i materiali, schierati per l’appello (“tutto questo sarà tuo, o Giardino!”), mentre mi risuona nelle mente l’Ouverture de Il Flauto Magico (regia di Bergman)
con i piani che si susseguono su:
tubi;
giunti a T,
giunti a L,
nastro di teflon,
irrigatori pop-up,
erogatori di vario tipo e colore,
canale flessibili per impianto elettrico e altre minuterie, metalliche e non.
Nessuna defezione – tripudio dell’Orchestra nel mio film privato -, tutti presenti, cosa rarissima vedrete in seguito perché.
Metri vari qua e là, dispersi o srotolati sul prato, centralina Toro da 8 stazioni comprata a Rio Pusteria, all’altro estremo della valle nei pressi di Bressanone, sotto controllo, manuale e schemi della centralina prontamente da me nascosti.
Nascosti per sicurezza, sia chiaro, agli occhi dell’Impiantista del week end, uomo dotato di un certo fluido che allontana da sé e – ahimè – dagli altri indispensabili cose in modo centrifugo e vario, relegandole in luoghi inaccessibili alla Ragione e ignoti alle fantasie dei più arditi tra navigatori e poeti.
E’ solito, infatti, costui, delocalizzare oggetti in vasta gamma, come tutti i generi di chiavi, da quella dell’auto (il lunedì) a quella delle porte di casa (il sabato e solo porte blindate), telecomandi, ombrelli non suoi – preferibilmente pregiati e miei – biro – matite, gomme, ferramenta di ogni genere, appositamente comprata per essere dispersa, manuali, trapani, conserve della zia Lina, e chiavi del garage con macchina dentro. E set di punte speciali, di brugole e buone cesoie (mie) e cacciaviti, naturalmente, visto che si usa lo spelucchino forgiato in luogo di questi introvati e i pregiati miei acciai, temprati a Solingen, per tagliare sezioni di prato a metro, canale flessibili di plastica e quant’altro scissibile e scindendo. Le cesoie, nate e concepite per recidere di netto e precise rami secchi o freschi delle mie creature verdi, sono invece utilizzate per tagliare robusti ferri e perdere per sempre il filo delle lame, prima di finire abbandonate alla pioggia, neglette in ruggine e oblìo.
Utensili da taglio appropriati per qualsiasi evenienza abbondano nella famiglia delle nostre esauste carte di credito e il citato mi assicura che da qualche parte sussistono, sebbene impercepiti. E’ un diversamente attrezzato, questo filosofo, ma stamattina c’è il miracolo e non manca nulla, nemmeno Papageno,
subitamente apprestatosi alla direzione lavori, già parzialmente iniziati. Qualche tubo è infatti già stato connesso alle derivazioni, legato ad altri compagni e posato sul prato. E marcate le posizioni definitive con qualche segno di badile in vista del successivo scavo delle tracce.
Ecco apparire, qui sotto, al termine della propria derivazione dal tubo principale, il primo irrigatore pop-up, che si solleva con la pressione dell’acquedotto e distribuisce preziosa linfa attraverso gli iniettori Pro-Spray e gli erogatori della stessa ditta, ugelli regolabili da 0 a 360 gradi. Il combinato disposto 😉 dei due articoli, completo dell’altro accessorio , che li contiene, qui montato, è visibile nella foto in basso a sinistra.
Stizzito, il Serpentùn di Gomma se ne sta di sfondo, avvolto in grandi spire, con aria di non cale.
Ma noi si sa che ròsega!
E avrà la sua rinvincita al disgelo, quando l’impianto, paralizzata l’acqua dal freddo della notte nei tubi, farà cilecca se non dove il sole l’avrà di già scaldata e resa fluida. Dunque il Serpentùn sarebbe di nuovo allungato e provvidenzialmente usato da rubinetti Murmansk :-))) cioè liberi dai ghiacci come il famoso porto, lambito dalla Corrente del Golfo, come il nostro lavello dai tubi della della Caldaia Termica. A volte la proisaicità consola.
Inizio della fase di scavo, sotto l’occhio vigile del direttore lavori.
Le zolle del prato vengono rimosse ordinatamente e appoggiate su teli, di modo da riposizionarle in seguito.
Le canale flessibili dell’impianto elettrico, che distribuiranno l’energia in diverse mini torrette in legno, da collocare in diversi punti del giardino per distribuire prese d’acqua e di luce (forza motrice), si apprestano ad essere inserite nelle tracce. In questa zona, in corrispondenza del triangolo, troverà posto una scatola di derivazione elettrica, che, una volta passati i fili, sarà sigillata con uno speciale gel, che ne sommergerà tutto il contenuto, isolandolo perfettamente. Il flusso di corrente è determinato a partire da una interruttore sicurissimo, che governa l’intero impianto esterno, sul muro di casa, al riparo.
Nella foto seguente è illustrata una delle derivazioni, in questo caso solo dell’impianto idrico, approntata per una torretta. Le torrette sono previste in legno trattato con impregnanti in autoclave, che abbiamo comprato, in assi, tra Villabassa e Dobbiaco, da Pircher, e monteranno dei rubinetti e una presa di corrente, stagna, per esterni.
E vogliamo mettere la soddisfazione di fare il caffè sulla caffettierina elettrica rumoreggiante-fumeggiante direttamente in giardino e sorbirselo con gran godimento sulla panchetta inglese tra i muscari e i narcisi?
Magari con un micio morbidoso che vi (ag)guata alla base del muretto?
Ma c’è molto ancora da fare. Abbiamo progettato otto circuiti, ciò fa molto Underground, mi rendo conto, ma per mettere YouTube sotto il prato con tutte le derivazioni che occorrono ci vuole una pazienza certosina. Ecco qui due linee della nostra metropolitana, una delle quali ha una fermata proprio dove indicato dalla freccia.
Le curve devono essere morbide, di modo da non ostacolare lo scorrimento dell’acqua.
Quanto all’acqua, dopo aver collegato (Piero) con pazienza certosina e cavetti arcobaleno le elettrovalvole alla centralina, dobbiamo aver fatto ridere mezza valle di Casìes, abitanti, vacche, gatti e pastori bernesi, quando sperimentavano molto da vicino, circuito per circuito, l’ampiezza di spruzzo degli irrigatori, per vedere se il loro numero non fosse tale da abbassare troppo la pressione, tanto da non fare alzare a sufficienza i pistoncini pop-up o viceversa. Diciamo che ci siamo idratati parecchio, via via che procedevamo, micio compreso, qui nell’atto di darsi alla macchia.
Risolti i problemi di aree non irrigate, i carsismi sospetti da tubo mal raccordato e valvole anarchiche, si giungeva al tanto desiderato momento di far tornare le esuli zolle a casa loro.
Ma il server di wordpress mo’ si è messo a dar di Matt(o) e quindi gambe in spalla, come il micio poco sopra, salvo tutto e il resto alla prossima puntata :-D.
OPPOSTI MA CON GUSTO Blog di racconti enogastronomici a partire da due punti di vista differenti: una buon gustaia in carne, tendente al fritto, in viaggio con una buon gustaia personal trainer, tendente salutista! Qui la tradizione si fonde con le nuove esperienze, le ricette diventano ricordi e la condivisione ha un sapore leggero e simpatico.
Una famiglia alla ricerca dell'equilibrio tra figlie in crescita, esperimenti di panificazione e vita in campagna. A family in search of balance between daughters growing, experiments of bakery and country life.
Non ci accomuna l'etnia. Nè la lingua araba,inglese,cecoslovacca,turca e chi più ne ha più ne metta; nè il modo differente di vestire e le innumerevoli culture.Ma c'è qualcosa che ci unisce più di tutte e che da vita ad un arcobaleno colmo di tradizioni,colori e sapori:la cucina.Che sia semplice o elaborata,in tutte le sue forme non è altro che il frutto del nostro essere.Che sia cinese,francese o italiana è la convivialità,l'amore per la tavola e la gioia di condividerla con i nostri cari a formare un unione vera e propria,che si spera,con il tempo,non scomparirà mai.
Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.” Due frasi, due concetti che definiscono la mia filosofia di cucina. Il tutto condito poi con passione, allegria, costanza, tenacia e grinta e amore