Considerazioni su due ricette, anzi non sulle ricette in sé ma su qualche fase di lavorazione.
Si tratta sempre di pani messi a cuocere in una pentola in ghisa, introdotta nel forno normale, a freddo, e fatta surriscaldare.
Le ricette sono due, in una l’impasto parte dal lievito di birra, nell’altra da una porzione di pasta di riporto.
Ecco, per eccessiva timidezza verso un pignattone di ghisa ustionante, avevo cercato di cambiare la fase in cui, formata la pagnotta, si sarebbe dovuto avvolgerla in un telo, per l’ultima lievitazione, avendo cura di infarinarlo abbondantemente, e ponendo l’impasto con la chiusura verso il basso.
La chiusura si sarebbe rivolta verso l’alto al momento del rovesciamento dell’impasto nella pentola caldissima e così sarebbe rimasta in cottura.
In questo caso la chiusura dell’impasto si apre, in cottura, come previsto e con ottimo risultato.
Nelle ricette precedenti, citate, ho provato a fare diversamente, disponendo la pagnotta, prima dell’ultima lievitazione, con la chiusura verso l’alto e su carta forno, introducendo poi nella pentola caldissima anche la carta forno e, ovviamente, non rovesciando la pagnotta.
Ma i risultati non sono quelli perfetti ottenuti procedendo secondo il metodo canonico , appunto quello di far lievitare la pagnotta nel classico telo infarinato per poi rovesciarla, da quello, nella pentola di cottura. La pagnotta non si apre come dovrebbe, seguendo la chiusura effettuata in fase di formazione.
Penso proprio che, presa ormai confidenza con questo metodo (uso una pala da forno inserita da subito sotto il telo con la pagnotta in lievitazione) non lo abbandonerò più. PS qui ho impartito, quasi a 3/4 del tempo di lievitazione di massa, una serie di pieghe alla Hamelman (due, a distanza di un ‘ora l’una dall’altra)
Il tempo lavora per noi: io mi sono organizzata preparando l’impasto il mattino presto, quando i camini delle cucine dei ristoranti iniziano a fumare, e cuocendolo a notte fonda.
Così, per giunta, il pane riesce a raffreddarsi senza essere divorato ancora caldo ;-))
1 – Il primo impasto, il primo pane (normale, impasto diretto)
Di seguito vi piazzo gli ingredienti con cui ho preparato un impasto maggiore del solito per prelevarne una parte, appunto pasta di riporto, per lievitarne altri senza utilizzare il lievito di birra compresso, usato solo la prima volta:
750 gr. farina Rieper Etichetta Gialla (è una farina forte)
1,7 gr. instant yeast (lievito istantaneo = il nostro Mastro Fornaio) io 5 gr. di quello fresco, compatto
15 gr sale, misurato un po’ ad occhio.
600 gr. acqua
(ho ricavato, salvo la modifica in aumento del sale, i quantitativi mantenendo le percentuali della ricetta originale del NYT, citata qui:
Seguite il procedimento descritto ricordandovi di prelevare, a lievitazione di massa avvenuta (e piegatura per formare la pagnotta), 225 gr. dell’impasto,
che trasferirete in una busta oliata e capiente, in frigo, sul ripiano meno freddo (quello superiore)
2 – L’impasto con la pasta di riporto
Estraete un’ora prima di utilizzarla la pasta che avete messo nel frigo.
Ingredienti per l’impasto con pasta di riporto:
225 gr. di pasta di riporto
500 gr. farina
400 acqua tiepida
10-15 gr. di sale
Procedimento:
Sciogliete la pasta di riporto, sfilacciata a pezzotti, in un po’ dell’acqua prevista, seguite la ricetta del no-knead bread sostituendo al lievito di birra la pasta di riporto sciolta nell’acqua (e ovviamente aggiungendo il resto dell’acqua). Ricordatevi di prelevare i 225 gr. per il prossimo impasto, esattamente come avete fatto in questo caso, conservandolo in frigo in un’ampia busta e procedete come per l’altra ricetta no-knead bread.
Ecco qua, pronto per essere gustato con la marmellata di arance amare, magari quella nuova fatta giorni fa, aromatizzata al coriandolo.
Non solo questo pane è senza impasto – viene sottoposto, infatti, a semplici operazioni di mescola e di piegatura – ma viene anche cotto in una pentola, fatta preriscaldare in forno, e chiusa da un coperchio. Questa ricetta è stata largamente diffusa dal sito del New York Times ed eseguita felicemente da stuoli di panificatori, alle prime armi e non.
Io ho pensato che sarebbe stato utile ricavare le percentuali sul peso della farina, ed ecco di seguito i valori proposti dalla ricetta originale e dalla mia, che ho calcolato mantenendo le stesse percentuali di composizione, ad eccezione del sale, e portando a 500 grammi di farina i 430 originari. Penso che la prossima volta potrei tentare un quasi raddoppio dei quantitativi, unico limite la capienza della pentola.
Ingredienti:
430 gr. farina, io 500, Farina Rieper Etichetta Gialla
1 gr. instant yeast (lievito istantaneo = il nostro Mastro Fornaio) io 3-4 gr. di quello fresco, compatto
8 gr sale, troppo poco per me aumentando semplicemente in proporzione; io ne ho aumentato la % e ne ho usati 15 gr. per i 500 gr. di farina impiegati
345 gr. acqua, io 400
Qui la tabella con i miei calcoli delle percentuali sulla farina, se per caso vi interessasse lavorare su scala maggiore.
NB, ho mantenuto, nella tabella, i valori originari del sale.
Farina
acqua
sale
lievito secco istantaneo
lievito fresco compatto
% acqua
% sale
% lievito secco istantaneo
430
345
8
1
3
80,23
1,86
0,23
500
401,16
9,3
1,16
3,48
80,23
1,86
0,23
Procedimento:
In una grande ciotola setacciare la farina, aggiungere il lievito, se usate quello istantaneo (Mastro Fornaio) e il sale.
Se usate il lievito fresco compresso potreste dissolverlo nell’acqua (in un po’ di quella misurata) aspettare che si attivi e aggiungerlo, con il resto dell’acqua, alla farina (io trovo comodo formare un incavo nella farina e accogliervi l’acqua, lontano dal sale, che posiziono ai margini, verso le pareti della ciotola).
Aggiunti i liquidi, mescolare usando o la mano come un gancio, ruotandola e coinvolgendo via via più farina intridendola di acqua oppure, cosa comodissima, usando una di quelle spatole con un lato curvo, di plastica, raccogliendo la farina dall’esterno e portandola al centro, ruotando via via la ciotola e ripiegando l’impasto in formazione su sé stesso per il tempo strettamente necessario ad amalgamare il tutto.
Fatto questo avrete un impasto molto appiccicoso.
Coprite la ciotola con un canovaccio imbevuto d’acqua e strizzato.
Lasciate riposare l’impasto per almeno 12 ore, preferibilmente circa 18, a temperatura ambiente. La lievitazione dipende, a parità di altri fattori, dalla temperatura iniziale di acqua e farina e dalla temperatura ambiente. Io durante la notte (ho preparato l’impasto nel tardo pomeriggio) in casa ho temperature non molto elevate, dovrete sperimentare voi, controllando l’esito.
L’impasto pronto per la piegatura
L’impasto è pronto quando la sua superficie è costellata di bolle, e non piccole, e ovviamente il volume è aumentato.
La superficie a bolle dopo la lunga lievitazione
Infarinate leggermente il piano di lavoro; usando la spatola deponete l’impasto sul tavolo (è molto viscoso, non vi preoccupate).
Contrariamente a quanto scritto nella ricetta originale (cioè di cospargere di farina il lato superiore dell’impasto) evitate di aggiungervi farina e ripiegate l’impasto a mo’ di lettera da imbustare (in tre, intendo) prima in un senso e poi nell’altro.
La forma risultante dalle pieghe a tre
Lasciate riposare un quarto d’ora sotto un foglio di plastica per alimenti, liberamente sovrapposto.
Utilizzando il minimo di farina per evitare che l’impasto si attacchi alla superficie di lavoro o alle dita, delicatamente e rapidamente formate l’impasto a palla, infarinate generosamente un telo di cotone o lino – al posto della farina potreste usare crusca di frumento o farina di mais, io direi anche farina di semola di grano duro – e posatevelo con la chiusura dell’impasto verso il basso, cospargendolo con altra farina, crusca o farina di granturco o grano duro e ricoprendolo infine con un lembo del telo.
Nella mia esperienza con questo impasto ho visto che rimane troppo appiccicoso e non facile da trasferire nella pentola caldissima, così ho cambiato il procedimento, e metto l’impasto fatto a palla su carta forno e con la chiusura sopra. (Ma sono tornata sui miei passi e ho deciso che d’ora in poi resterò fedele al metodo classico, cioè quello descritto sopra, con lievitazione finale della pagnotta nel telo, chiusura disposta verso il basso, per i risultati vedere qui)
Coprite con un telo di cotone o lino (io con telo di lino inumidito ma non a contatto con l’impasto) e lasciate lievitare per circa 2 ore.
Quando il processo è terminato il volume dell’impasto sarà più del doppio in termini di dimensioni (il mio no, ho preferito infornare un poco prima) e la superficie, premuta con un dito, non riprende rapidamente la sua forma originaria.
Almeno mezz’ora prima (dice lui, io tre quarti d’ora, proprio per riscaldare al meglio la pentola in ghisa pesante) che l’impasto sia pronto, accendete il forno e portatelo a 250 ° C. (nella ricetta originaria a 450° F = 232° C ). Io preferisco scaldare di più perché con l’apertura del forno la temperatura scende di molto, quindi inforno e solo dopo abbasso alla temperatura richiesta.
Inserite pertanto nel forno, perché si riscaldi, una pentola in ghisa, ghisa smaltata o con rivestimento inaderente, in pyrex o materiale ceramico da forno, con coperchio. Io ne ho usata una in ghisa, con rivestimento inaderente, da 5 lt. Nella ricetta originale si preriscalda anche il coperchio (attenzione a sostituire i pomelli del coperchio, eventualmente in materiali non resistenti alle alte temperature del forno, con altri in acciaio o altro materiale idoneo) ma altrove ho letto che non è necessario.
Quando l’impasto è pronto, rimuovere con molta attenzione la pentola dal forno. Se avete adottato la soluzione della ricetta originale dovrete capovolgere l’impasto nella pentola, di modo d’avere la saldatura in alto, se avete fatto come me avrete già l’impasto con il lato della saldatura in alto e non avrete che da prendere i lembi della carta forno e porre l’impasto avvolto nella carta, direttamente com’è, nella pentola, carta forno compresa. Incoperchiate e cuocete per 30 minuti, io abbasso la temperatura a 230° C e la mantengo così.
Rimuovere il coperchio e cuocere altri 15 a 30 minuti, fino a quando pagnotta è più che dorata, direi di colore castano.
Io preferisco, dopo gli ulteriori 15 minuti, estrarre la pagnotta dalla pentola e continuare la cottura sulla griglia del forno.
E, una volta cotta, mi pare anche ottima cosa (ma sorvegliare) di lasciare ancora la pagnotta nel forno spento, sulla griglia, per una decina di minuti, la crosta risulterà più croccante. Raffreddare su una griglia.
*** AAA AGGIORNAMENTO ***
Ne ho fatto anche una versione utilizzando la pasta di riporto, la trovate qui.
OPPOSTI MA CON GUSTO Blog di racconti enogastronomici a partire da due punti di vista differenti: una buon gustaia in carne, tendente al fritto, in viaggio con una buon gustaia personal trainer, tendente salutista! Qui la tradizione si fonde con le nuove esperienze, le ricette diventano ricordi e la condivisione ha un sapore leggero e simpatico.
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Non ci accomuna l'etnia. Nè la lingua araba,inglese,cecoslovacca,turca e chi più ne ha più ne metta; nè il modo differente di vestire e le innumerevoli culture.Ma c'è qualcosa che ci unisce più di tutte e che da vita ad un arcobaleno colmo di tradizioni,colori e sapori:la cucina.Che sia semplice o elaborata,in tutte le sue forme non è altro che il frutto del nostro essere.Che sia cinese,francese o italiana è la convivialità,l'amore per la tavola e la gioia di condividerla con i nostri cari a formare un unione vera e propria,che si spera,con il tempo,non scomparirà mai.
Non c’è posto al mondo che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, com’è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. Se possibile le preferisco funzionali e vissute. Magari con tantissimi strofinacci asciutti e puliti e le piastrelle bianche che scintillano.” Due frasi, due concetti che definiscono la mia filosofia di cucina. Il tutto condito poi con passione, allegria, costanza, tenacia e grinta e amore