Archivi categoria: Giardino di primavera

Ove si desidera una serra per metterci dentro tutto il giardino.

da Obojes Valdàora Mittelolang, vista verso il Plan de Corones,  a comprare la magnolia stellata.

Caro diario (diario si fa per dire), rieccomi.
Perché del titolo: primavera di giorno ed inverno di notte, con temperature anche di – 7°C rilevate alle sette del mattino dal termometro appeso al muro sud di casa, e in posizione protetta. Che dire?

Imbestialita, imbufalita.

Per i seguenti non pochi motivi, da sussumersi alla voce “sorpresi da gelo e (leggera) brina” + “Inverno te possino”:

1) Malus John Downie con gemme schiuse e foglioline,
2) Malus Red Jade un po’ meno aperto ma con foglie visibili,
3) Prunus Padus con fiore chiuso già delineato,
4) Malus Lizette, in posizione più protetta, con gemme totalmente aperte, fiori in boccio e foglie, rosso scurissimo, neonate,
5) Prunus cerasifera nigra con boccioli a fiore in pre esplosione,
6) Malus Ballerina venuto dalla terrazza di Venezia l’anno scorso: brava piantina, molto prudente: gemme attendono tempi sicuri,
7) Prunus Serrulata Royal Burgundy: altra brava piantina molto avveduta: gemme chiuse, ancorché frementi,
8) Albicocco venostano, quasi appoggiato al muro a sud di casa: tre fiori sbocciati. Insetti non pervenuti: presumo per sciarpe, berretto e guanti precocemente riposti nell’armadio stagionale.

Dico niente dei getti delle rose Narrow Water, così laboriosamente protette l’inverno.
Un grandissimo nervoso per quella quindicina di giorni post disgelo, in Marzo, ad alte temperature, che ha ingannato le mie piante, ingenue e meno ingenue, salvo rare eccezioni.

radioso mattino con scille e papaver

Sapevo che il recalcitrante inverno avrebbe tentato una sortita: ma che fosse così infìdo non l’avrei immaginato: dapprima giornate calde, quasi estive: lavorando in giardino son diventata, in brevissimo, color berlusconi versione pezzato-muratore, e poi, improvvisamente, gelido vento, nevicata a pochi metri di altitudine rispetto a noi, freddi notturni in notti stellate, cielo si tocca, suolo gelato, erba crepita sotto i passi.
Fenomenologia della settimana scorsa: di primo mattino i narcisi più alti accasciati a terra, esanimi ma in ripresa qualche ora dopo; foglie delle iris rizomatose come imbalsamate, altrettanto quelle dei tulipani Apricot Beauty. Cristallizzate le viole del pensiero, di regola resistentissime, ridotte come decori di un pasticcere maldestro,

crudele gelo della notte

idem le fragole e i muscari, quelli di rinforzo, appena comprati, accasciate pure le bellis perennis, anche queste di rinforzo, bimbe provenienti dal detto vivaio assieme alle viole del pensiero, ai muscari e ad altre personalità di spicco nel mio giardino, come gli alti Delphinium, i Lupini, le Digitalis.

i contorni del gelo

Tutto cambia, fortunatamente, nello scorrere di poche ore e le dilette anime vegetative riprendono i sensi ai primi tepori del giorno, sorrette dai loro colori.

My name?Alice. Please to meet you here in Wonderland!

Ma non è consolante: per giorni ho imbacuccato il Malus John Downie, anzi notti, così come le rose Narrow Water e, pure, la Parkdirector Riggers. Col vento e da sola, il tessuto non tessuto che sventola come bandiera bianca/sciarpa di Isadora/mega pashmina impalpabile, è un gran casotto compiere questa operazione senza recare pregiudizio alle fragili gemme o alle foglioline appena venute alla luce. Stress sibila come il vento mentre m’industrio in questa operazione d’haute couture.

Così mi sono parzialmente consolata andando a fare un giro nel mio vivaio preferito: da Obojes a Valdàora, leggendario vivaio a quota proibitiva (1000 m. e a sbalzi climatici molto rischiosi).

Parzialmente, scrivevo, perché venivo informata delle gelate subite anche da loro: – 5° C mi diceva la signora Anna, rattristandosi con me per le piante rovinate e il danno subito.

Ma il vivaio, che bellezza quelle serre! Viole del pensiero, bellis perennis, le iris, i papaver orientalis e tutto quel ben di dio che i giardinieri chiamano erbacee perenni. Qui un minimo scorcio di un paio di bancali – tra gli infiniti – dedicati alle sole viole del pensiero.

a cercare le viole del pensiero da Obojes a Valdàora Mittelolang

E gli arbusti e gli alberi, appena tratti fuori dalle serre invernali. Una festa, insomma, nonostante le scaramucce del signor inverno in primavera.
Oh, non si creda che io sia una di quelle perdigiorno che si smarrisce nei vivai, eh! Da Obojes sono rigorosissima nel rispetto dei tempi: so quando arrivo, so quando riparto, ben oltre l’ora di chiusura, e ci vogliono, per indurmi a lasciare la postazione, non dico gli idranti ma quasi.

da obojes innaffia

Domani, mi riprometto, scriverò delle neonate Scilla siberica, di crocus, di viole del pensiero, di cui alcune sono sopravvissute all’inverno a – 30°C ed altre han fatto i piccoli, già in fiore ai primi tepori.
E dei bellissimi Tulipa pulchella, che ho provato a lasciare nel terreno con ottimo risultato!
Senza dimenticare le progenie dei lupini blu violetto della val Casìes.
E dei nuovi clienti nei ristorantini fly-in: i verdoni. E della cincia mora!

Quante cose! Mi sa che scriverò a rate altrimenti chi lavorerà al mio posto, in giardino, con tutto quel che c’è da fare?
Qualcuno, a onor del vero, si è offerto di scrivere per me.

Caro Amicio ti scrivo

Non molla la penna e fa risolutamente il pennuto, pare che intenda mimetizzarsi per aver buon gioco con quei nuovi ospiti del ristorantino fly-in di cui vorrebbe così tanto occuparsi. Personalmente, dice.

Pubblicità

Dei miei lupini ornamentali: qualcuno in adozione, altri cuccioli, svezzati, e adulti.

al margine dei boschi, in riva ai ruscelli, sui pendii a lato delle strade, fin quasi all’asfalto quanti lupini, in estate, a colorare di blu la Valle di Casìes Gsiesertal!

Selvaggi e lussureggianti, a volte associati ad alte aquilegie dello stesso colore. Splendidi. Una tentazione. E una concessione, anzi tre.

Dopo non poche incertezze, infatti, il mio fazzoletto di giardino essendo situato in Val Casìes, mi sono (quasi) sentita legittimata a prelevare, lungo il torrente Pidig, tre piante munite di grossa zolla, estratta con due forche e grande attenzione a non danneggiare le profonde e carnose radici. E quelle del vicinato.
Da trapiantare immediatamente. Da irrigare con abbondanza (e qui sono in debito di ringraziamenti con la mia vicina Laura, che ha fatto loro da nurse durante le mie assenze).

Eccoli, immortalati nella tardiva, piovosa e ancora fredda estate del 2010, seguita a una primavera inesistente e a un lungo, lunghissimo inverno:

lupini blu_3009876-1 come oggetto avanzato-1

e qui

lupini blu e aquilegie _3009883-1 come oggetto avanzato-1

Non so se questi lupini siano protetti e vi invito a non estirparli se non siete nelle mie stesse condizioni: in possibilità di traslocarli, cioè, sempre in zona, e di trarli da terra al momento opportuno e con strumenti adatti.
(tardivamente ho controllato: non sono tra le piante protette nella provincia di Bolzano, ma per ogni pianta penso che valga quello che ho scritto sopra)
Il trasloco, e le cure di Laura e mie, hanno dato esiti imprevisti: questi selvaggi figli della valle, radicando nel terriccio soffice della mia aiuola, si son messi, dopo un momento di perplessità, a crescere e a sfornare spighe su spighe di bellissimi fiori. E a svilupparsi, del tutto inaspettatamente, di molto in altezza, coprendo ahimé un po’ troppo la visione della valle ed espandendosi, pure, a spese di qualche altra piantuzza che già colà dimorava.

Li ho detti blu ma in effetti il blu di questi fiori è più contiguo al violetto, con qualche tocco, interno al fiore, di magenta scuro.

A fine stagione ho raccolto i semi, maturi, e li ho riportati dove avevo preso le tre piante, sistemandoli con del terriccio buono. Una restituzione, insomma, per far pace col dio della valle.

Nel mio vivaio preferito ho invece comprato delle piantine di Lupinus Red Gallery, dalle spighe color rosso magenta. Si sono presto sviluppate e hanno fiorito a lungo, fino ai geli.
Ho sempre reciso le infiorescenze per evitare che la pianta si esaurisse nel montare a seme ma ne ho lasciata maturare qualcuna. E pensando ai selvatici cugini e alla possibile dissemina spontanea, ho lasciato nel gelo invernale i fusti, tagliati, con i semi maturi racchiusi nei tipici baccelli da leguminosa, qual è il lupino.
Al disgelo ho trovato, sotto lo strato di foglie di betulla messe a mo’ di pacciamatura sopra le piante, i semenzali pronti da ripichettare, ancora in parte all’interno del baccello in disfacimento.

lupini semenzali _7001905 come oggetto avanzato-1

Li ho raccolti con delicatezza, religiosamente, con il terriccio circostante,

nursery dei lupini_7001897 come oggetto avanzato-1

con gran circospezione ho liberato i cotiledoni, idratandoli con uno spruzzatore, dal tegumento secco di rivestimento, che li tratteneva uniti,

2 lupini ibridi red gallery al disgelo _7001904 come oggetto avanzato-1

e infine li ho invasati in un vasetto di torba ché solo quelli avevo.

lupini semenzali in vasetto _7001899-1 come oggetto avanzato-1

Non è necessario fare così: basta un vasetto normale oppure, se ne avete tanti, basta un incavo in quelle strutture di plastica leggera, in genere azzurre, che contengono uno per uno i frutti per la vendita, in cassette.
Come questa

lupini semenzali_7001915 come oggetto avanzato-1

Formano presto un pane radicale maneggevole per il trapianto a dimora, in piena terra.
Hanno radici carnose e profonde questi lupini e, come tutte le leguminose, fissano nel terreno l’azoto atmosferico, arricchendolo.

I genitori, nello stesso giorno, già esibivano le loro belle foglie, ancora giovanilmente rosseggianti.

1 lupini ibridi red gallery al disgelo _7001902 come oggetto avanzato-2

Fioriscono, generosi, lo stesso anno in cui sono stati seminati: le foglie, eleganti, sono splendide fin da quando la pianta si apre alla buona stagione. Sono particolarmente d’effetto se piantati in massa, e beati voi se avete un giardino in cui potervelo permettere!
Belli accostati alle rose, insieme ai papaver orientalis, agli alti delphinium, alle viole del pensiero in primo piano. Magari ton sur ton.
Se solo i papaver orientalis (quelli rosa di una varietà di cui al momento non ricordo il nome) si convincessero a non seccare orribilmente le foglie dopo la fioritura! Anche nel clima fresco di qua non desistono da questa tradizione, che credevo limitata alle più calde pianure.
A me piacciono molti visti dall’alto, questi lupini: io li ho piantati lungo il prato, declive, qualcuno quasi in primo piano, davanti ai cornus sibirica, altri, i più, vicino alle rose Narrow Water, Jasmina, e la profumata Falstaff (Austin), di cui compendiano le gradazioni dal rosa al magenta. Mi accompagnano da un terrazzamento all’altro.

l'autunno? sì, l'Autunno.

Con grande entusiasmo dei bombi, che al primo sole ci fan colazione.

bombo tra i lupini crop bombo _7002305 come oggetto avanzato-1

Certo sono piante da estati fresche, montane, e regalano emozione soprattutto al mattino, dopo le lievi brinate settembrine, che ai fiori nulla tolgono della loro bellezza.

luce di brina appena sciolta al primo sole

Anche nel loro declino.

gioielli nel gelo

Ho letto – non ricordo dove – che si suggerisce di vernalizzare il semi dei lupini, facendo loro passare un periodo invernale nel frigo di casa. Un mio amico ha semplicemente comprato una bustina di Lupini ibridi in miscuglio (varietà non specificate) e ha proceduto a una semina del tutto normale. Risultato: un profluvio di piantine.
Ma i miei, come vedete, si son vernalizzati da sé. Nel grembo di neve del mio giardino d’inverno.

PS Confesso: ne ho comprati ancora: tre varietà rosa/rosse, una gialla e un paio di blu.

I castelli delle rose nell’inverno a -30° C I parte

Segna ancora – 10° C il termometro, alla parete sul lato sud, protetta, della casa.

Alle sette del mattino, proprio quando il micio suditirolese mio pensionante reclama la sua colazione prima di uscire.

Si è provveduto diversamente quest’inverno, visti gli esiti non proprio eccitanti della vegetazione delle rose l’anno scorso.

E pure, prima dell’impianto, si era consultato l’archivio USDA sulla resistenza al gelo, chiesto al vivaista di qui, sempre prudentissimo. Chiesto ad altro vivaista, quasi a Vicenza (pseudo esperto),  notizie della disidratazione che il freddo, e i venti e il sole causano, per non dire di profondità e la durata del gelo nel terreno, variabili cruciali.

Certo le piante coltivate nelle zone USDA consigliate non muoiono se esposte, anche a lungo, alle temperature indicate come minime ma la vegetazione, nel caso delle rose i fusti, seccano se non opportunamente protetti dalla siccità invernale.

Le speranze circa la rosa New Dawn, data per resistente in zona, sono naufragate: la copertura di sfalcio di prato e terriccio, e scaglie di corteccia in sommità, tenuta insieme da ramaglie di abete, disposta a suo tempo fino a una cinquantina di cm. dal suolo (il punto di innesto stava a buoni 10-15 cm. sottoterra perché qui così si deve) è valsa solo a proteggere le gemme più basse.

Tutti i fusti, a partire da 30 cm dalla base, sono morti stecchiti. Ed erano belli, lunghi almeno un metro e sessanta, e forti.

rosa new dawn e panchina

La poverina s’è industriata a rifarsi una struttura e ha cominciato a fiorire che quasi s’era messo a nevicare di nuovo.

rosa new dawn

In posizione più riparata un’altra rosa, la Parkdirector Riggers, anch’essa data per resistente, coperta più o meno come la New Dawn, ha ripreso vita nello stesso modo, crescendo e fiorendo nella stagione tarda, che confina direttamente con l’inverno, inteso in senso termico, che qui inizia a fine ottobre.

La sera di una parkdirectors riggers - come dire - esco con la mia fiamma

Le malcapitate rose inglesi, date dal pur prudente vivaista Obojes per resistenti, sono state punite per via dell’ombra gettata, al mattino, da un pino argentato, cresciuto a vista d’occhio nel giardino del vicino. Qualcuna non ha fatto nemmeno in tempo a fiorire, altre sono fiorite giusto in tempo per scolorire sotto le piogge: quelle Abraham Darby, così profumate, con quelle corolle pesanti sempre a capo chino… :-((((

David Austin mi dovrebbe indennizzare per un tris di rose Abraham Darby (meravigliose, però, seccate a farci un tè, o a profumare una grappa) e per una rosa Falstaff, anch’essa profumata: le tapine non riescono a crescere oltre una cinquantina di cm.

Eccone qui, una, alla faticosa ripresa.
Era il 23 Marzo del 2009.

rosa abraham darby disgelo _3005401 come oggetto avanzato-1

Uno strazio rispetto a bel vedere che avevo sognato, comprandole.

La robustissima rosa Nevada, per contro, per tutto inverno, e ancora in primavera, rivaleggia, con i suoi fusti color cacao, addirittura con i signori del rosso: i Cornus Alba Sibirica, che dividono il mio fazzoletto di giardino dai prati circostanti, per mesi bianchi di neve.

autunno è le protezioni di rosa

La Nevada, qui sopra ritratta con le leggere protezioni dell’inverno, fiorisce copiosamente in giugno e mi costringe a vegliare contro miriadi di coleotteri voraci, che mi tocca sterminare con la massima fermezza, pur spiacendomi: al primo sole estivo sciamano dai prati, per la valle, e mangiano di tutto, quasi defogliando le  piante come l’ottimo Amelanchier alnifolius Obelix, che qui si vede in secondo piano, nel suo fogliame giallo autunnale.

Non lontano dalla Nevada sta una rosa che dovrò verificare se sia la rosa rubiginosa: il primo anno dall’impianto è rimasta immobile. La scorsa estate, tardivamente, si è destata e ha prodotto molti fusti, lunghi quasi un metro. Pochissimi fiori, qualche bella bacca brillante, che spicca sulle foglie dei lupini. O meglio quel che ne resta, dopo un combattimento per il controllo del territorio: lupini devastati (blu, selvaggi della Val Casìes, prelevati l’anno prima, con tutta la zolla di terra, e fragoline spontanee, dal lungo Pidigbach), steli disposti come dopo un tornado, ciuffi di pelo e  gattazzo sudtirolese abbacchiato per un giorno.

rosa rubiginosa, l'autunno che rivedo in marzo, aspettando il disgelo

L’ho protetta come la Nevada, in modo relativamente leggero ma mentre la Nevada ha mantenuto idratati i fusti per tutta la loro lunghezza, come l’anno scorso, questa sembra aver risentito del freddo, almeno nelle parti terminali dei rami.

Nel suo castello riposa, spero protetta, la fascinosa Rosa Moschata.

rosa moschata gypsophylla

L’inverno di due anni fa, una stagione dopo l’impianto, si è addormentata sotto un cono di una cinquantina di centimetri di sfalcio di prato, terriccio, corteccia. Il tutto fissato con ramaglie di abete, conficcate a capanna nel terreno. Pensai di proteggerla sotto un’accumulo di neve  ma fu un errore. La neve ghiacciò in breve e il disgelo si fece attendere a lungo. Per giunta i rami d’abete rimasero conficcati nel suolo, a far ombra, per un’eternità, prima che la terra, durissima, cedesse.

La povera Moschata dovette rivegetare dalle gemme più basse, ancora attive; la primavera inesistente introdusse  un’estate molto tardiva e così mi ritrovai con una pianta alta una cinquantina di centimetri che, appena in fioritura, fotografai alla veloce, visto l’approssimarsi della stagione fredda. (E qui si pianse, soprattutto perché al vivaio La Campanella più volte avevo espressi i miei dubbi, ovvero certezza contraria, circa la resistenza ai geli di questa pianta. Al gentile reclamo, che seguì i risultati, ci fu suggerito di usare fiori in plastica.)

lavori in corso muretti lunghi  rosa moschata

Così pensai a una tecnica ibrida tra il Minnesota Tip, le protezioni usate nella più fredda Val Badia, a Corvara, e lo stivaggio invernale di certe piante da frutto, presso il Vivaio Obojes, a Valdaora di Mezzo.

La tecnica del Minnesota Tip qui da noi mi pare impraticabile per diverse ragioni: in primo luogo è bene che si sia già verificata una gelata del suolo ma qui è rischioso lasciar passare troppo tempo: può succedere che la prima gelata inchiodi il terreno fino all’aprile successivo e, in secondo luogo, scalzare le radici per reclinare le piante è troppo rischioso, soprattutto col freddo alle porte.

In Val Badia usano coprire le rose con dei coni di terriccio, più o meno protetti con ramaglie e/o tessuto non tessuto. Lì l’inverno è capace di presentarsi a fine settembre, mi diceva un appassionato di rose, con giardino a Corvara.

Presso il vivaio Obojes riparano tutte le piante nelle enormi serre – a fine stagione molti arbustini ed erbacee perenni vengono sbattute via, nel mucchio destinato al compost. Non so quante ne ho salvate, andando a zampettare  nella parte più nascosta del vivaio, con Piero imbarazzato a scandire “basta, andiamo”, “andiamo basta”.

Le serre, con temperature esterne di -30 ° C (e con diurne altissime, a causa dell’implacabile sole invernale, e di primavera), vengono mantenute a una temperatura minima di 10 ° C : un gran lavoro, come si può immaginare. E dispendioso.

Dentro di tutto: da piante da serra fredda a rododendri ed azalee, che morirebbero disidratate, se lasciate fuori. Aceri giapponesi – bellissimi – e altri alberi di tutti i tipi, Cornus florida, Meli, Ciliegi anche alti diversi metri, tutti dentro.

I pini e gli abeti fuori a far gli spavaldi e qualche albero da frutta più resistente, come gli albicocchi della Val Venosta, da vendersi a radice nuda in primavera, in una specie di garage sotterraneo, non riscaldato, piantati provvisoriamente in terriccio misto a sabbia in apposite vasche in cemento.

Noi si è fatti i castelli: per ogni castellana piantate delle canne intorno alla rosa, fissato alle canne un cilindro di rete,  raccolta la pianta su di sé inframmezzandone i fusti con paglia (grazie, papà di Elena!). Un’infinità di terriccio misto a sabbia, raccolta da Piero con pazienza certosina, e forza proporzionale all’acqua che spesso l’appesantiva. A ricoprire la rosa, uno strato terminale di paglia.

E a coprire il tutto? Cappucci di rete, tagliente ahi metallica, fatti ad arte & ripasso geometria del cerchio, dal buon Piero. Del buon Piero, figlio di contadini,  va detto che tutto pensava, sposando nel ’79 una donnina in tailleur, calze 8 denari anche l’inverno e tacchi a spillo, allora non così comuni come oggi, tranne che  si sarebbe trovato col badile sempiterno a mano, a girar terra, cavar massi, portar massi, far muretti di sostegno, e piantar meli. E a sbregarsi le mani per fare i cappucci per le rose, tipo chinois, su disegno della sua Signora ;-D.

Tornando ai castelli, fatti i cappucci in rete, a prova di mezzo metro di neve, foggiati i cappucci in plastica e, tocco di classe, ramaglie d’abete a coprire i detti cappucci.

Il tocco kitch-caprettechefannociao, insomma.

I cilindri furono poi rivestiti con cannicciati ad hoc.

Se questo sistema elaborato non dovesse funzionare penso di attrezzarmi a una rapida fuga primaverile con i capelli al vento: come si dice meglio alzare i tacchi (delle pedule) alla velocissima.

Però non ho ancora detto del quasi-capanno a coprire un giro di rose sarmentose: le Narrow Water,

gran brave piantine che si vorrebbe vedere vegetare dai rami degli anni precedenti – in questo caso dell’anno scorso, visto che il gelo le ha praticamente ceduate. Lì ho optato per un tumulo, a base rettangolare, che ricoprisse le due Narrow Water,

rose narrow water

la rigida Falstaff (Austin Roses), e una sarmentosa leggiadra e profumata di nome Rosa Jasmina.

rosa narrow water

Un lembo del quasi-capanno è visibile nella prima foto di questo post, a sinistra del Cornus Alba Sibirica.

Un posto particolare, nel mio cuore, è per la Rosa Clair Matin.

rosa clair matin sovraesposta trattamento Orton Luisa

La portammo qui dal terrazzo di Venezia: quasi completamente defogliata, nella buona stagione, per un guasto alla pompa dell’acqua. Si riprese, protetta solo dal solito cono di terriccio, coperto di frasche d’abete, passò l’inverno perdendo però gran parte delle gemme, seccate sui rami rovinati dal gelo.
La trapiantammo in luogo più riparato, ai piedi di un muretto. E ne abbiamo, a novembre, fatto una castellana, a passare l’inverno come la Rosa New Dawn, la Parkdirector Riggers, la Moschata. Chissà… ora ho le provviste di sacchi per raccogliere paglia e terriccio: attenderò l’aprile per vedere se le protezioni avranno svolto il loro compito.

Fuor dai castelli la resistentissima Rosa Hugonis, di cui ho trattenuto i rami fissandoli a un tripode perché non soccombessero sotto la neve, come l’anno scorso.
Fuor dai castelli pure le corazzate Rosa Rugosa Rotes Meer, più piccole delle altre Rugose, dalle scintillanti bacche autunnali.

E, in vaso, alcune rose che dovrei controllare, messe in garage dove la temperatura non scende di molto sotto lo zero.

castelli delle rose: cornus alba sibirica, inserito originariamente da fratella Buon Anno!.

Il disgelo, ocra e bianchi, le farfalle

giardino disgelo prato ovest 2011 03 05

Da quando ho esperienza di questo piccolo giardino montano, in una zona dagli inverni molto rigidi, in cui il terreno gela in profondità, attendo il disgelo, che tarda fino ad aprile, spiando ogni giorno le prime avvisaglie di primavera.

Le spio proprio, a partire dalle eroiche, piccole piante che ormai colonizzano liberamente i nostri muretti di sostegno, così laboriosamente messi in opera durante gli impegnativi mesi estivi.
Mentre tutti ormai fotografano alberi in fiore e prati verdi, io vedo ancora neve nella parte meno soleggiata della valle, prati color ocra ricoprono i pendìì meglio esposti, isole di neve gelata, quando non ghiaccio trasparente, resistono in giardino da me.

neve e ghiaccio vicino alla copertura delle rose 2011 02 26

L’esperienza mi ha insegnato che è meglio scalfire la coltre ghiacciata, appena possibile, e ridurla in schegge, che dispongo sulle pietre dei muretti, a colare vicino a qualche bisognoso ginepro, ancora in divisa invernale, spenta. Le farfalle – le prime! – sembrano apprezzare il drink e se ne servono, indugiando sul terreno umido, per poi scaldarsi al sole, sul legno della staccionata.
farfalla disgelo 2010 03 05

 

della bellezza calligrafia del crocus



della bellezza calligrafia del crocus, inserito originariamente da fratella.

tutti a stenderci per prati e giardini, per fermare la luce che attraversa i crocus, noi flickeriani.
Io, più comodamente, mi sono stesa qua e là per il giardino, con la mia fiammante Nikon, a provare obiettivi.
Fino a quando si è levato un vento così freddo e il sole se n’è andato: allora ho desistito e sono tornata in casa.
In compagnia di un’ostinata cefalea e la schiena a pezzi.
Domenica non memorabile se non per la felicità di inattese resurrezioni, come quella dell’armeria maritima, di certe bellissime euforbie, di un tale chrisantemum di cui non ricordo che lo splendido colore, rosso rubino.