ove si spera di non ritrarre più nevi ghiacciate e foglie imprigionate. E che i lucherini tornino ai loro nidi, sui pini in alto in alto

l’inverno nel mio cuore, inserito originariamente da fratella.

non ho più visto i lucherini. Ed ora so perché. Un errore utilizzare quella mangiatoia da cui cadono i semi con troppa facilità.
La gatta deve aver colpito, rapida, tra gli uccelletti in terra. A spasso in quella benedizione di panìco, girasole e muesli.
E ne ha lasciato uno, per me, spero l’unico preso, che ho seppellito stamattina nel minimo strato di terra non ghiacciata, quasi al pedale dell’uva spina.
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elogio della graminacea ornamentale

Elogio della graminacea ornamentale, inserito originariamente da fratella.

Ripensando alla pacciamatura con lo sfalcio del prato: tèl lì quando l’avevo sistemata, in quell’ottobre lungo e cromaticamente strepitoso, l’anno scorso. 🙂

E l’Amelanchier, con quel magnifico giallo sullo sfondo del bosco? Ne ho comprato una varietà a portamento meno espanso anche perché immune, così mi ha detto il vivaista, da quel noioso oidio quasi impossibile da debellare. Almeno nel caso di questo arbusto.

Amelanchier alnifolia “Obelix” il suo nome e cognome. Mi aspettavo di vederci zampettare intorno Idéfix, Obelix Idéfixma forse non gli è ancora giunta notizia di questa pianta e le merdette che vi ho trovato, sotto lo strato di asettica neve, saran state di quella gattazza infida e cacciatrice che forse ha predato un povero lucherino, cliente poco avveduto del mio ristorantino.

quello stato dell’acqua tra neve e disgelo

quello stato dell’acqua tra neve e disgelo, inserito originariamente da fratella.

Prendo per incipit dei miei propositi l’equinozio di primavera. Quale migliore inizio per un diario di giardinaggio se non questo momento tanto simbolico quanto concreto?

E’ il momento del lento risveglio, qui in Valle di Casìes: la neve che ha coperto il giardino per mesi, e ancora imbianca il paesaggio d’intorno, si scioglie al sole dei giorni e nelle rigidi notti, ai margini, festonando si tramuta in ghiaccio.

Fissati dal gelo di un inverno a -30° emergono via via gli strati dell’autunno, memorie del manto nevoso. Ritrovo le foglie di betulla raccolte al pedale delle rose, gli aghi dei rami di pino mugo a protezione delle clematidi, lo spesso strato di frammenti di corteccia, scudo squamoso e drenaggio, l’ultimo sfalcio dell’erba, prima pacciamatura nell’ordine del tempo.

Ce l’avrà fatta quella rosa moschata che tanto amo, che ho piantato su consiglio di una vivaista, altrettanto urtante che incompetente, e che per conto mio non avrebbe sopportato temperature così rigide? E avranno resistito le incantevoli  e profumate sue nipoti, le Narrow Waters, schermate ai venti freddi con rami d’abeti e mazzi di sfalcio di alte erbacee,  già destinati a compost dal vivaista, e prontamente recuperati?

I bulbi se li saranno fatti fuori le talpe, o li avranno danneggiati nelle loro scorribande?

Perché Toti Scialoja ci ha insegnato che:

calma la talpa sotto il chiar di luna
palpa le sue patate ad una ad una.

 

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